PAOLO VI
UDIENZA GENERALE
Mercoledì, 12 febbraio 1969
La sapienza del Signore sempre illumini le coscienze
Diletti Figli e Figlie!
Una delle questioni capitali circa l’attività dell’uomo moderno è quella della coscienza. Non è che questa questione sia sorta adesso, nel nostro tempo; essa è antica quanto l’uomo, perché l’uomo si è sempre posto la domanda circa se stesso. È celebre, a questo proposito, il dialogo che uno scrittore greco dell’antichità (SENOFONTE, Detti mem. 4, 2, 24) attribuisce a Socrate, il quale chiede al discepolo Eutidemo: «Dimmi, Eutidemo, sei mai stato a Delfi? Sì, due volte. Hai notato l’iscrizione incisa sul tempio: conosci te stesso? Sì. Hai tu trascurato questo avviso, o vi hai fatto attenzione? Veramente no: è questa una conoscenza ch’io credevo di avere». Di qui la storia del grande problema circa la conoscenza che l’uomo ha di se stesso; egli crede di averla e poi non ne è sicuro; problema che tormenterà sempre e feconderà il pensiero umano. Ricordiamo fra tutti S. Agostino con la sua famosa preghiera, sintesi della sua anima di pensatore cristiano: «Noverim Te, noverim me»: ch’io conosca Te (o Signore), e ch’io conosca me (cfr. Conf. 1, X); per venire al tempo nostro trovando sempre incompleta la scienza che l’uomo ha di se stesso. Chi non ha sentito parlare del libro del Carrel: «L’uomo, questo sconosciuto» (1934)? E oggi non si dichiara che «vi è una rivoluzione nella conoscenza dell’uomo»? (ORAISON).
Ciò che a noi interessa in questo breve e familiare colloquio è notare come l’uomo moderno (e ci avvertiamo tutti compresi in questa etichetta) sia, da un lato, sempre più estroflesso, cioè impegnato fuori. di sé; l’attivismo dei nostri giorni e la prevalenza della conoscenza sensibile e delle comunicazioni sociali sullo studio speculativo e sull’attività interiore ci rende tributari del mondo esteriore e diminuisce assai la riflessione personale e la conoscenza delle questioni inerenti alla nostra vita soggettiva, siamo distratti (cfr. PASCAL, 11, 144), vuoti di noi stessi e pieni d’immagini e di pensieri che, per sé, non ci riguardano intimamente (cfr. S. AGOSTINO, De Trinitate, X, 5; P.L. 42, 977). Da un altro lato invece, quasi per istintiva reazione, ritorniamo dentro di noi, pensiamo ai nostri atti e ai fatti della nostra esperienza, riflettiamo su tutto, cerchiamo di darci una coscienza sul mondo e su noi stessi. La coscienza riprende, in qualche modo, il sopravvento, almeno estimativo, nella nostra attività.
LA GUIDA DELLA CONDOTTA UMANA
E il regno della coscienza si distende davanti alla nostra considerazione amplissimo e complicatissimo. Semplifichiamo questo immenso panorama in due campi distinti: vi è una coscienza psicologica, cioè quella che riflette sulla nostra personale attività, qualunque sia; è una specie di veglia su noi stessi; è un guardare allo specchio la propria fenomenologia spirituale, la propria personalità; è conoscersi, e diventare così, in certo modo, padroni di se stessi. Ma ora non parliamo di questo campo della coscienza; parliamo del secondo, quello della coscienza morale e individuale, cioè dell’intuizione che ciascuno ha della bontà o della malizia delle proprie azioni.
Questo campo, della coscienza morale, è interessantissimo, anche per coloro che non lo pongono, come noi credenti, in relazione col mondo divino; anzi esso costituisce l’uomo nella sua espressione più alta e più nobile, definisce la sua statura vera, lo mette nell’uso normale della sua libertà. Agire secondo coscienza diventa la norma più impegnativa e al tempo stesso più autonoma dell’azione umana.
La coscienza, all’atto pratico, è il giudizio circa la rettitudine, cioè la moralità, delle nostre azioni, sia considerate nel loro abituale svolgimento, sia nei loro singoli atti.
Ora Noi non avremmo che da fare l’apologia della coscienza; basterebbe ricordare ciò che ne ha insegnato la Chiesa in questi ultimi tempi, per esempio Papa Leone XIII nella sua Enciclica intitolata alla libertà (cfr. Denz.-Schoen. 3245 e ss.) e il Concilio recente (Gaudium et Spes, 16; Dign. hum. 3, 11) e basterebbe ancora ricordare quanto i maestri di spirito raccomandano alle persone desiderose del loro perfezionamento l’esercizio dell’esame di coscienza: ciascuno certamente dei nostri ascoltatori lo sa; e Noi non faremo che incoraggiarli alla fedeltà a questo esercizio, che risponde non soltanto alla disciplina dell’ascesi cristiana, ma altresì all’indole dell’educazione personale moderna.
UNA NORMA INTERIORE E SUPERIORE
Ma dobbiamo fare un’osservazione circa la supremazia e la esclusività che oggi si cerca di attribuire alla coscienza nella guida della condotta umana. Si sente spesso ripetere, come un aforisma indiscutibile, che tutta la moralità dell’uomo deve consistere nel seguire la propria coscienza; e ciò si afferma per emanciparlo sia dalle esigenze d’una norma estrinseca, sia dall’ossequio ad un’autorità che tenta dettar legge alla libera e spontanea attività dell’uomo, il quale dev’essere legge a se stesso, senza il vincolo di altri interventi nelle sue .operazioni. Non diremo nulla di nuovo quando chiederemo a quanti racchiudono in tale criterio l’ambito della vita morale che avere per guida la propria coscienza non solo è cosa buona, ma cosa doverosa. Chi agisce contro coscienza è fuori della retta via (cfr. Rom. 14, 23).
Ma bisogna, innanzi tutto, rilevare che la coscienza, di per se stessa, non è arbitra del valore morale delle azioni ch’essa suggerisce. La coscienza è interprete d’una norma interiore e superiore; non la crea da sé. Essa è illuminata dalla intuizione di certi principi normativi, connaturali nella ragione umana (cfr. S. TH., I, 79, 12 e 13; I-II, 94, 1); la coscienza non è la fonte del bene e del male; è l’avvertenza, è l’ascoltazione di una voce, che si chiama appunto la voce della coscienza, è il richiamo alla conformità che un’azione deve avere ad una esigenza intrinseca all’uomo, affinché l’uomo sia uomo vero e perfetto. Cioè è l’intimazione soggettiva e immediata di una legge, che dobbiamo chiamare naturale, nonostante che molti oggi non vogliano più sentir parlare di legge naturale.
Non è in rapporto a questa legge, intesa nel suo autentico significato, che nasce nell’uomo il senso di responsabilità? e col senso di responsabilità, quello della buona coscienza e del merito, ovvero del rimorso e della colpa? Coscienza e responsabilità sono due termini l’uno all’altro collegati.
In secondo luogo dobbiamo osservare che la coscienza, per essere norma valida dell’operare umano, dev’essere retta, cioè dev’essere sicura di sé e vera, non incerta, non colpevolmente erronea. Il che, purtroppo, è facilissimo che avvenga, data la debolezza della ragione umana, quando è lasciata a se stessa, quando non è istruita.
PEDAGOGIA NECESSARIA
La coscienza ha bisogno d’essere istruita. La pedagogia della coscienza è necessaria, com’è necessaria per tutto l’uomo, questo essere in sviluppo interiore, che svolge la sua vita in un quadro esteriore quanto mai complesso ed esigente. La coscienza non è la voce unica che può guidare l’attività umana; la sua voce si chiarisce e si fortifica quando quella della legge, e quindi della legittima autorità, si unisce alla sua. La voce della coscienza cioè non è sempre né infallibile, né oggettivamente suprema. E questo è specialmente vero nel campo dell’azione soprannaturale, dove la ragione non vale da sé a interpretare la via del bene, e deve ricorrere alla fede per dettare all’uomo la norma della giustizia voluta da Dio mediante la rivelazione: «L’uomo giusto, dice S. Paolo, vive di fede» (Gal. 3, 11). Per camminare diritto, quando si va di notte, cioè si procede nel mistero della vita cristiana, non bastano gli occhi, occorre la lampada, occorre la luce. E questo «lumen Christi» non deforma, non mortifica, non contraddice quello della nostra coscienza, ma lo rischiara e lo abilita alla sequela di Cristo, sul diritto sentiero del nostro pellegrinaggio verso l’eterna visione.
Dunque: procuriamo d’agire sempre con la coscienza retta e forte, illuminata dalla sapienza di Cristo. Con la Nostra Benedizione Apostolica.
A PARLAMENTARI DELLA COLOMBIA
Durante aquellas jornadas eucaristicas, Nuestro corazón pastoral se dilató para enunciar el afecto que profesamos a Colombia, para recalcar la solicitud con que seguimos su trayectoria secular de fé, para ilustrar los principios cristianos de un constante progreso civil que alcance a todas las categorías sociales, para agradecer las nítidas y espontáneas pruebas de adhesión desbordante que las autoridades y el pueblo entero Nos dispensaron.
Vuestra presencia aquí despierta en Nuestro ánimo esa misma actitud y Nos induce a expresaros, con la gratitud por vuestra devota visita, un mensaje de saludo, de votos, de plegarias por Colombia, para que en ella tengan siempre carta de ciudadanía la paz y el bienestar, fundamentados en la concordia constructiva, en el respeto de los derechos, en la progresiva elevación cultural, moral y religiosa de todos sus hijos.
Un augurio también para vosotros, en particular. Que en el ámbito familiar y en la esfera de vuestras altas competencias, os siga estimulando el sentido de cristianismo consciente y responsable, vivido en sus exigencias de verdad, de justicia y de amor, para que así vuestra existencia sea fértil de felicidad y repercuta en bien de la sociedad a la que pertenecéis y servís.
ATTIVITÀ SPORTIVA E VITA SPIRITUALE
Voi ben sapete che la Chiesa, con l’insegnamento dei suoi Pontefici, ha incoraggiato e incoraggia lo sport, rilevandone i valori squisitamente umani, di lealtà, di autocontrollo, di efficienza, di misura, come base e fondamento dei valori spirituali, che il Cristianesimo esalta e avvalora. I messaggi, rivolti in varie occasioni, specie per le recenti Olimpiadi, gli incontri solenni in particolari occasioni, le udienze a gruppi e squadre sportive sono là a dimostrare questo premuroso, paterno interessamento dei Papi per lo sport, come propedeutica all’esercizio ascetico, alla pratica della carità fraterna, alla diffusione della concordia e della pace fra gli uomini. E il Concilio Ecumenico Vaticano II, dal canto suo, ha anch’esso affermato che «la Chiesa valorizza e tende a penetrare del suo spirito e ad elevare anche gli altri mezzi, che appartengono al patrimonio comune degli uomini, e sono particolarmente adatti al perfezionamento morale e alla formazione umana», fra i quali le società sportive (Dich. Gravissimum educationis, n. 4).
Ci piace pertanto vedere felicemente adempiuta dalla vostra Squadra questa fondamentale consegna, e avverato il binomio tra vita sportiva e vita spirituale. Ve ne siamo grati: e vi diciamo di continuare ad essere buone atlete, migliori cittadine, e ottime cristiane, per i compiti che si attendono domani da voi, nella vita familiare e sociale, soprattutto nella vita della Chiesa, che conta su figli fedeli, generosi, ardenti, prudenti, disciplinati, coraggiosi.
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