PAOLO VI
UDIENZA GENERALE
Basilica Vaticana
Mercoledì, 25 novembre 1970
Messagero del Vangelo
Sembra a noi, alla vigilia del Nostro viaggio in Estremo Oriente, di non potervi parlare d’altro, ancora una volta, anche se già voi tutto sapete a tale riguardo, ed anche se oggi un simile viaggio è cosa tecnicamente semplice (prodigio del progresso moderno!), è cosa comune e a tutti aperta.IL DISEGNO CRISTIANO DELLA SALVEZZA
Vi confideremo, carissimi, che Noi avvertiamo come la Nostra iniziativa acquista dimensioni grandi, molto più grandi della Nostra umilissima persona, e ci sembra di ravvisare, quasi in visione plastica e in misure difficilmente calcolabili il quadro caratteristico dell’economia del regno di Dio, cioè della Chiesa che sta storicamente compiendo, quasi a sua insaputa, il disegno cristiano della salvezza. Lo potremmo forse chiamare questo quadro il dramma delle sproporzioni: quando Dio entra in scena, nella nostra scena umana, terrena e storica, quale equilibrio di proporzioni vi può essere? Se l’uomo stesso è un nodo di sproporzioni (Cfr. PASCAL, Pensées, 72), che sarà la sua statura quando egli viene in confronto e in combinazione con Dio, anche se Dio si è fatto uomo per stare con noi a nostro livello? (Cfr. Bar. 3, 38)
E potremmo figurarci, per comodità concettuale, questo quadro così: lo scenario è la storia, questa nostra storia, questo nostro tempo, nel quale stiamo cercando «i segni dei tempi»; uno scenario disuguale, pieno di luce e di tenebre, devastato da raffiche d’uragano che sembrano irresistibili, le ideologie moderne; e da qualche fresca brezza di primavera, i soffi dello Spirito, che «soffia dove vuole» (Io. 3, 8). Su questo scenario tre personaggi: uno, che tutto lo occupa, la moltitudine incalcolabile degli uomini d’oggi, crescenti, salimenti, coscienti, come non lo erano stati mai, carichi di strumenti formidabili che danno loro potenza, che sa di prodigio, angelico o diabolico, salutare o micidiale, e che li rende dominatori della terra e del cielo e spesso schiavi di se stessi; giganti sono, e barcollano deboli e ciechi, agitati e furiosi in cerca di quiete e di ordine, sapienti su ogni cosa e scettici su tutto e sul proprio destino, sfrenati nella carne e folli nello spirito . . . Un carattere pare per tutti comune: sono infelici, manca loro qualche cosa di essenziale. Chi li può avvicinare? Chi istruire su le cose necessarie alla vita, quando tante ne conoscono di superflue? Chi li può interpretare e può sciogliere in verità i dubbi che li tormentano? Chi svelare ad essi la vocazione, ch’essi hanno implicita nei loro cuori? Sono oceano queste folle, sono l’umanità. Essa occupa tutta la scena, essa vi passa lentamente e tumultuosamente: è lei che fa la storia . . .
L'APOSTOLO E LA PAROLA
Ma ecco un altro personaggio. Piccolo come una formica, debole, inerme, minimo fino alla quantité négligeable. Egli cerca di farsi largo in mezzo alla marea delle genti, tenta di dire una parola, si fa ostinato, cerca di farsi ascoltare, e assume aspetto di maestro, di profeta; assicura di non proferire parole sue, ma una parola arcana e infallibile, una parola dai mille echi, che risuona nei mille linguaggi degli uomini. Ma ciò che più colpisce dal confronto che si è prodotto con questa presenza, ecco, è la sproporzione: sproporzione del numero, sproporzione di qualità, di potenza, di mezzi, sproporzione d’attualità . . . Ma il piccolo uomo, e voi avete compreso chi è: è l’apostolo, è il messaggero del Vangelo, è il testimonio; in questo caso, sì, il Papa, che osa misurarsi con gli uomini. Davide e Golia? altri dirà: Don Chisciotte . . . Scena irrilevante. Scena superata. Scena imbarazzante. Scena pericolosa. Scena ridicola. Così si sente dire! e le apparenze sembrano giustificare questi commenti. Ma il piccolo uomo, quando riesce ad ottenere un po’ di silenzio e qualche ascoltatore, parla con un tono di certezza tutto suo; dice però cose inconcepibili, misteri d’un mondo invisibile, e pur vicino, il mondo divino, il mondo cristiano, ma misteri . . . E alcuni ridono, altri gli dicono: ti ascolteremo un’altra volta, come capitò a S. Paolo nell’Areopago di Atene (Act. 17, 32-33).
Però qualcuno là ha ascoltato, e sempre ascolta e si accorge che in quella flebile e sicura parola si distinguono due accenti singolari e dolcissimi, i quali risuonano meravigliosamente nel fondo del loro spirito: l’accento di verità e l’accento di amore. Si accorgono che la parola non è che strumentalmente di colui che la pronuncia: è una Parola a sé, una Parola d’un Altro. Dov’era e dov’è questo Altro? Chi era e chi è questo Altro? Non poteva e non può essere che un Essere vivo, una Persona essenzialmente Parola, un Verbo fatto uomo, il Verbo di Dio. Dov’era e dov’è il Verbo di Dio fatto carne? Perché oramai era ed è chiaro ch’Egli era ed è presente! E questo è il terzo personaggio della scena del mondo: il personaggio che la sovrasta e la occupa tutta là dove gli è fatta accoglienza, per una via distinta, ma non insolita al sapere umano, per via di fede.
O Cristo, sei Tu? Tu la Verità? Tu l’Amore? Sei qui? Sei con noi? In questo mondo così evoluto e così confuso? Così corrotto e crudele, quando vuol essere contento di sé e così innocente e così caro, quand’è evangelicamente bambino? Questo mondo, così intelligente, ma così profano e spesso volutamente cieco e sordo ai Tuoi segni? Questo mondo che Tu hai amato, Tu, o fonte della i7ita, fino alla morte; Tu, che Ti sei cioè rivelato in Amore? Tu salvezza, Tu gioia del genere umano? Tu sei qui, dove la Chiesa, tuo sacramento e tuo strumento (Cfr. Lumen gentium, 1, 48; Gaudium et spes, 45), Ti annuncia e Ti porta?
È questa la scena perenne che nei secoli si svolge, e che nel Nostro viaggio vuole avere un suo attimo di ineffabile realtà.
Partecipiamovi spiritualmente tutti insieme, Fratelli e Figli carissimi. Con la Nostra Benedizione Apostolica.
Ed ora un caldo, affettuoso saluto alla Comunità Filippina di Roma, che con grande conforto del Nostro animo vediamo presente nell’odierna Udienza.
Figli carissimi, il desiderio che vi ha spinti a porgerci il vostro omaggio prima della Nostra partenza verso l’Estremo Oriente, rappresenta una nota quanto mai suggestiva di questa Udienza, ed accresce in Noi le emozioni della vigilia del Nostro viaggio apostolico. Con ciò, mentre in qualche modo ci fate già pregustare la gioia del Nostro prossimo incontro col vostro popolo, ci manifestate altresì i sentimenti che vi animano e vi uniscono spiritualmente ai vostri connazionali nella trepida attesa di questo avvenimento. Grazie, figlioli, di questa vostra graditissima presenza, grazie dei vostri auguri e soprattutto delle preghiere, con le quali - come ci avete voluto amabilmente assicurare - non cesserete di accompagnarci lungo le tappe del Nostro laborioso itinerario.
Quando raggiungeremo la vostra nobilissima terra, Noi siamo certi di trovare colà cuori ardenti come i vostri, pronti ad accogliere il Nostro messaggio di fede, di fraternità e di pace, per un più prospero avvenire del nome cristiano nel continente asiatico. Che il Signore vi aiuti a corrispondere a queste vive speranze della Chiesa, mantenendo la vostra gente fedele alle sue gloriose tradizioni civili e religiose, e salda in quella fermezza di fede, che tanto la onora.
Il gaudio, la pace e la grazia del Signore siano sempre in voi con la Nostra Apostolica Benedizione.
Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana