PAOLO VI
UDIENZA GENERALE
Mercoledì, 12 aprile 1972
La testimonianza nel disegno del cristianesimo
A noi premerebbe di accendere nei vostri animi la scintilla profetica della testimonianza. Quale testimonianza? La testimonianza della risurrezione di Cristo. Voi avete diritto di chiederci: come sarebbe a dire? Noi ricordiamo che da ragazzi si faceva a gara fra quelli che riuscissero prima a salutare un altro col grido gioioso: è Pasqua! e sappiamo che nella Chiesa Orientale è sempre in uso, per il giorno di Pasqua, lo scambio del saluto: Cristo è risorto! al quale saluto la persona incontrata risponde con pari entusiasmo: è risorto davvero!
IL PRINCIPIO INTERIORE DELL'APOSTOLATO
Ma voi ci direte ora: la Pasqua è passata; l’annuncio non è più tempestivo. È vero: come saluto d’occasione è per questo anno superato; ma come testimonianza del fatto miracoloso, misterioso, strepitoso della risurrezione del Signore rimane d’attualità, anzi rimane dovere. Diremo allora: non è scintilla, ma fiamma. Fiamma accesa; non soltanto lume per uso personale di ogni fedele, ma lume anche per chi ci circonda. È testimonianza, dicevamo; è il principio interiore dell’apostolato esteriore. Come è nato il cristianesimo? Come si è formata la Chiesa? E che cosa costituisce l’elemento originale ed energetico della Chiesa? La fede. La fede in Chi ed in che cosa? Nella risurrezione del Signore. Scrive San Paolo: «Questa è la parola della fede che noi annunziamo. Se tu confessi con la bocca il Signore Gesù, e nel tuo cuore hai fede che Dio lo ha risuscitato da morte, sarai salvo» (Rom. 10, 9. ). Avete ancora bene presente allo spirito la narrazione evangelica dei fatti relativi alla risurrezione del Signore? Avete anche qualche ricordo della prima predicazione degli Apostoli dopo la Pentecoste? (Cfr. Act. 2, 36) E certo voi sapete come nella predicazione di San Paolo e specialmente nella sua prima lettera ai Corinti (1 Cor. 15), egli aveva un fatto da asserire come fondamento di tutta la dottrina nuova di Cristo, e cioè la risurrezione del Signore, e come egli si erigeva a storico e a maestro di questo prodigio capitale del Vangelo della salvezza, dal quale la nuova religione, anzi la nuova società, cioè la Chiesa, traeva la sua origine e la sua ragion di essere.
Da tutto questo noi vediamo l’importanza essenziale della «testimonianza» circa l’avvenuta risurrezione di Gesù. Perché, da un lato, questo fatto prodigioso fu manifestato, sì, ad esempio, in modo diretto, sperimentale e agli occhi, all’udito, al tatto agli Undici e agli altri ch’erano riuniti con loro a Gerusalemme, tanto che il Signore disse loro: «Perché vi turbate, e quali dubbi sorgono nel vostro cuore? Guardate le mie mani ed i miei piedi; sono proprio Io; palpate e guardate, perché uno spirito non ha carne ed ossa come voi vedete che Io ho in questo momento . . .» (Luc. 24, 38-39); ma questa esperienza sensibile non fu continua e non fu per tutti, tanto che San Pietro, nel suo discorso nella casa del centurione Cornelio, spiegando l’ordine degli eventi che stavano realizzandosi, ebbe a dire circa Gesù di Nazareth: «Dio lo ha risuscitato il terzo giorno, ed ha fatto sì che Egli si rendesse visibile, ma non a tutto il popolo, ma a testimoni prestabiliti da Dio» (Act. 10, 40-41). D’altro lato, dunque, la certezza della risurrezione del Signore è stata data, salvo a pochi (sebbene non pochissimi; San Paolo parla di «più di cinquecento fratelli in una volta», dei quali i più erano allora ancora viventi - 1 Cor. 15, 6 -), non per via di conoscenza sensibile e diretta, ma per via di testimonianza, cioè per fede; fede umana, ma subito suffragata da un’altra testimonianza interiore, dalla grazia dello Spirito Santo (Cfr. Io. 15, 26-27).
LA CERTEZZA DELLA RISURREZIONE
Ma ora ciò che a noi preme notare è la funzione che nel disegno del cristianesimo assume la testimonianza, cioè la trasmissione del Vangelo per mezzo di un insegnamento originale e autorizzato, sul quale la fede trova il suo fondamento. Che cosa significa testimonianza? È questa una parola spesso ricorrente e gonfia di significato, che vale la pena di esaminare. Testimonianza significa, per ciò che ci riguarda, l’attestazione d’una verità; significa l’affermazione della realtà d’una cosa o d’un fatto, che assume certezza per la credibilità di chi la riferisce e per una certa rispondenza della parola intrinseca alle disposizioni spirituali di chi ascolta (Cfr. Luc. 24, 32; Rom. 10, 17). E quando la testimonianza evangelica cominciò ad essere cosciente della sua missione? Essa cominciò ad essere clamorosa e potente con la Pentecoste; e ciò proprio a riguardo principalmente del fatto reale e misterioso della Risurrezione. Gesù congedandosi dai suoi discepoli aveva loro detto, preannunciando la venuta dello Spirito Santo: «Voi mi sarete testimoni, in Gerusalemme, e in tutta la Giudea e nella Samaria»; e poi, spalancando i confini verso tutto il mondo: «e fino alle estremità della terra» (Act. 1, 8). E chi medita su questa nascita del cristianesimo vede che i discepoli, quelli prescelti specialmente, diventano Apostoli; e gli Apostoli sono invasi da vento profetico, per annunciare l’avvenimento strabiliante e innovatore: Cristo è risorto.
«Noi siamo testimoni» ripeteranno gli Apostoli (Cfr. Act. 2, 32; 3, 15; 5, 32; etc.). Di qui la fede, di qui la Chiesa.
IL FONDAMENTO DELLA FEDE
E di qui una fontana di altre verità, dalle quali non può prescindere l’autenticità della nostra professione cristiana. Sorge dapprima il concetto di tradizione; concetto che dev’essere assai cautamente precisato, se lo vogliamo prendere nel suo significato vivente, vincolante e costitutivo di eco fedele della Parola di Dio, enunciata dagli Apostoli, cioè dai testimoni autorizzati a trasmetterla (Cfr. Dei Verbum, 8). Con la tradizione si fonde il senso storico e dottrinale della salvezza, cioè del compimento del disegno di Dio nel tempo. Non siamo padroni delle intenzioni supreme di questo disegno; le dobbiamo riconoscere e ammirare nella lentezza dei secoli, che descrivono le due grandi fasi della storia, l’antico e il nuovo Testamento ed hanno in Cristo il punto focale, discriminante del prima e del poi (Cfr. Eph. 1, 10; Gal. 4, 4); e dobbiamo osservare e conservare gelosamente nel tumulto degli avvenimenti e nella pluralità delle situazioni, come un tesoro intangibile da non perdere; è il «deposito» prezioso, di cui S. Paolo due volte scrive a Timoteo (1 Tim. 6, 20; 2 Tim. 1, 14). E ad illuminare questo senso storico e dottrinale, per quanto riguarda la fecondità di sapienza del deposito stesso, e la sua inesauribile applicabilità alle condizioni sempre varie dell’umanità, occorrerà un ministero di autentica derivazione apostolica, che oggi si chiama magistero ecclesiastico, al quale è affidato da Cristo la garanzia della verità e dell’unità per il Popolo di Dio a riguardo della divina rivelazione (Cfr. Luc. 10, 16; Marc. 16, 16; Dei Verbum, 10; Lumen Gentium, 12).
L’ESEMPIO DEL MARTIRE STEFANO
Sono verità semplici e grandi. Le quali devono tenere acceso nei cuori fedeli il mistero pasquale, e far respingere alcune moderne forme d’interpretazione esegetica di non felice autenticità, infondendo in essi la sicurezza ed il gaudio della risurrezione di Cristo, alla quale siamo chiamati ad essere noi pure associati; e possono fare di ogni credente un testimonio e un apostolo della fede cristiana.
Così che sia stimolante per ciascuno di noi l’esempio del primo eroico testimonio, il martire Stefano, «pieno di fede e di Spirito Santo» (Act. 6, 5), che vide Gesù risorto e glorioso «stare alla destra di Dio» (Act. 7, 55-56).
Con la nostra Apostolica Benedizione.
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