PAOLO VI
UDIENZA GENERALE
Mercoledì, 28 agosto 1974
Vero e falso pluralismo
Fratelli e Figli!
Noi non usciremo, neppure questa volta, dal linguaggio semplice e familiare, che riserviamo alla conversazione delle Udienze generali, anche se dobbiamo proporre alla vostra riflessione un termine un po’ ermetico, che ha fatto fortuna ultimamente nell’analisi dottrinale, anche cattolica, perché spesso se ne parla come d’una formula liberatrice e moderna; e questo termine suona «pluralismo». Non intendiamo ora parlare del pluralismo dei sistemi filosofici, o politici; e nemmeno di quello religioso al di fuori della sfera cristiana.
Pluralismo, termine equivoco; cioè avente duplice significato: il primo significato è molto bello; e si riferisce alla fecondità della nostra dottrina cattolica, la quale, conservando una sincera e profonda identità di contenuto e rimanendo cioè strettamente aderente alla propria univoca realtà, all’una fides, di cui parla con tanta chiarezza ed autorità l’apostolo Paolo (Eph. 4, 3-6; 13; Phil. 2, 2; Rom. 15, 5; 12, 16; cfr. Io. 10, 16; etc.), possiede una enorme ricchezza di espressioni, per ogni lingua (ricordiamo, ad esempio, il miracolo delle lingue nel giorno della Pentecoste) (Act. 2, 4-8) per ogni periodo della storia (Cfr. NEWMAN, An essay of the development of christian dottrine, 1845), per ogni età e grado della vita umana (cfr. il kerigma, o annuncio primitivo, la didaché, o dottrina apostolica, i primi simboli, ossia le sintesi dottrinali, come regole della dottrina, che presero il nome di credo, e poi i catechismi e le opere dottrinali d’ogni forma, come le summae teologiche medioevali, e le opere più recenti di più ampia e sistematica esposizione del dogma cattolico); e non possiamo omettere le molte e quasi aleggianti voci della liturgia, che gareggiano con quelle dottrinali, tanto da offrire la nota equazione fra la lex orandi e la lex credendi; e come poi dimenticheremo l’inesauribile produzione letteraria, che documenta di per se stessa come la rigorosa osservanza della norma dottrinale, lungi dallo spegnere la fioritura del genio spirituale della fantasia e della poesia, la provochi piuttosto e la fecondi in una meravigliosa e sempre nuova pluralità di forme e di parole?
Questo è il pluralismo della Chiesa cattolica, al quale possiamo ascrivere quello sgorgante dalle esplorazioni delle personali ricerche e delle singolari espressioni, a cui la dottrina cattolica invita sia il mistico, sia il teologo e sia anche l’artista, sempre che questi contemplativi, questi studiosi e questi profeti semantici abbiano come legge connaturata nel loro animo la Verità; quella Verità di cui lo Spirito Santo, sì, è maestro (Io. 14, 26; 16, 23), ma sempre secondo la garanzia interpretativa di quel Magistero della Chiesa, al quale Cristo affidò il ministero della luce (Matth. 5, 14); della parola (Luc. 10, 16); dell’autenticità della fede e della comunione (Cfr. DENZ.-SCHÖN. 3050 ss .; Lumen Gentium, 18; Dei Verbum, 12, 23; Unitatis Redintegratio, 21).
Potremmo paragonare il pluralismo dottrinale della Chiesa cattolica a quello d’un’orchestra musicale, nella quale la pluralità degli strumenti e la diversità delle loro parti rispettive cospirano a produrre una sola e mirabile armonia.
E vorremmo ricordare a quanti si figurano il dogma cattolico, cioè una dottrina religiosa rivelata da Dio e come tale dichiarata dal magistero della Chiesa, quasi fosse una prigione del pensiero teologico o scientifico, ricordare, diciamo, quale sicurezza e quale ampiezza di verità, e quale varietà di espressione, esso, il dogma cattolico, offra allo spirito umano, quale invito alla riflessione e quale gaudio alla mente introdotta nei sentieri della scienza soprannaturale di Dio e dell’uomo. I teologi, umili e sapienti, ben sanno la preziosità di questa superlativa esperienza (Cfr. DENZ.-SCHÖN. 3016, 3020, 3044; etc.). A loro il nostro saluto riverente e stimolante.
Tanto che a professare questo pluralismo didascalico nell’unità dogmatica della dottrina cristiana i cattolici trovano sempre davanti a sé la formula dei Riformatori antichi e moderni: sola Scriptura, quasi che essi fossero i veri fedeli dell’unità religiosa, e quasi che la sacra Scrittura non derivasse essa stessa dalla Tradizione apostolica (Cfr. Dei Verbum, 7-10), e avulsa dall’insegnamento apostolico non fosse esposta al pericolo, quanto mai reale, d’essere abbandonata all’interpretazione individuale, indefinitamente centrifuga e pluralistica, cioè a quel «libero esame», che ha polverizzato l’unità della fede nell’innumerevole molteplicità di opinioni personali, indarno, o arbitrariamente, contenuta da una «norma regolata», cioè da un’interpretazione obbligante emanata dalla comunità, superata poi anch’essa dall’ispirazione soggettiva, che lo Spirito Santo suggerirebbe all’anima, direttamente.
Così che «la dottrina protestante del libero esame, o dell’unica autorità dello Spirito Santo, quale autentico interprete della Scrittura, apre la via al più radicale soggettivismo filosofico-religioso» (Prof. Siro Offelli). Dalla plurisinfonia unificante e celebrante della Pentecoste si dovrebbe retrocedere alla « confusione delle lingue », di cui la Bibbia ci riporta la misteriosa vicenda? (Gen. 11, 1-9)
Quale ecumenismo potremmo così costruire? quale unità della Chiesa potremmo ricomporre senza l’unità della fede? Dove finirebbe il cristianesimo, dove ancor più il cattolicesimo, se ancor oggi, sotto uno specioso, ma inammissibile pluralismo, si accettasse come legittima la disgregazione dottrinale, e quindi anche ecclesiale, ch’esso può recare con sé? La vera religione, quale noi crediamo essere la nostra, non si può dire legittima, né efficace, se non è ortodossa, cioè derivata da un autentico ed univoco rapporto con Dio. Né un vago, e fosse anche commosso e sincero, sentimento religioso, né una libera ideologia spirituale costruita con autonome elaborazioni personali, né uno sforzo di elevare a livello religioso le pur nobili ed appassionate espressioni di sociologia lirica e morale di popoli interi, né le vivisezioni ermeneutiche rivolte ad attribuire al cristianesimo un’origine naturale o mitica, né ogni altra teoria o osservanza, che prescinda dalla voce infinitamente misteriosa ed estremamente chiara, risuonata sul monte della trasfigurazione e riferita a Gesù, raggiante come sole e candido come la neve: «Questo è il mio Figlio diletto, nel quale Io mi sono compiaciuto; Lui ascoltate» (Matth. 17, 5), potrà placare la nostra sete di verità e di vita.
Beati noi, se ci metteremo nel numero dei piccoli, che sanno ascoltare una tale voce, e pregustare la felicità della certezza immortale.
Con la nostra Apostolica Benedizione.
Coro Lituano nel Canadà
We extend a special welcome today to the Canadian-Lithuanian Girls’ Choir-“Aidas”, The name of your choir-“Aidas”-means an echo, and we pray that your singing may ever be a spontaneous echo of your own inner joy and peace. We want all the People of God to sing in the churches, and we ask you to use your talents to entourage and help people to share actively in the new liturgy.
Thank you for singing SO beautifully for us today. God bless you all.
Il Capitolo Generale dei Rogazionisti
Abbiamo il piacere, stamane, di accogliere unitamente al nuovo Superiore Generale i Religiosi Rogazionisti, i quali hanno partecipato al Capitolo Generale celebratosi nei giorni scorsi.
Fiduciosi come siamo, carissimi figli, della generosità e dell’impegno che vi hanno guidati nella verifica dei risultati della precedente Assemblea, ci è gradito rivolgervi la nostra parola di incoraggiamento a perseverare nello spirito del vostro Fondatore, il Servo di Dio Can. Annibale Maria di Francia, che vi volle dedicati al servizio della Chiesa con due specifiche attribuzioni: la preghiera assidua rivolta al «Padrone della messe, per l’invio di validi operai», e l’educazione ed assistenza alla fanciullezza più bisognosa di aiuto.
Vocazione, questa, che esige magnanimità e sacrificio: che peraltro merita tutta l’attenzione e la sollecitudine di chi si è consacrato a Dio.
Per tale motivo, l’amore alla disciplina, che un alterato concetto di questo termine vorrebbe oggi far apparire come limitazione, e non invece come garanzia e sostegno dell’apostolato, sorregga, come roccia che mai non crolla, gli ideali dell’orazione, della vita religiosa e dell’attività di ministero e di formazione.
Guardando con amore di figli al vostro Fondatore, il quale ad imitazione del Divin Maestro, da nobile e ricco che era, si fece povero e servitore degli umili, avete un esempio mirabile di povertà evangelica, di distacco dai beni materiali, di dedizione in favore dei fratelli.
Auspicio di questi desiderati doni celesti e pegno della nostra benevolenza, è la nostra Benedizione Apostolica, che impartiamo a voi, al vostro Istituto, agli assistiti e alle rispettive famiglie.
Associazione nazionale «San Paolo» per gli Oratori e Circoli giovanili
Porgiamo un cordiale benvenuto ai partecipanti al Convegno di studio e all’Assemblea annuale dell’Associazione Nazionale «San Paolo» per gli Oratori e i Circoli Giovanili, nel suo decimo anno di fondazione. Siamo assai lieti di questa circostanza: sia perché l’organismo è sorto nella nostra diocesi di origine, e salutiamo Monsignore Vescovo di Brescia, che presiede all’incontro e ha diretto qui il gruppo; sia, soprattutto, perché l’iniziativa è rivolta a coordinare, a promuovere e a stimolare le benemerite istituzioni degli Oratori e dei Circoli Giovanili, che, come dice il nome, sono destinate ad offrire alla cara gioventù la necessaria formazione spirituale e morale, nonché le occasioni di vita associativa e comunitaria, tanto da essa sentite, e le possibilità di temprare il corpo nella sana e felice attività ricreativa e sportiva.
La vostra presenza ci permette di fare una domanda, non solo a voi, ma a tutti quanti, nel mondo cattolico, si interessano ai giovani: come vanno i nostri Oratori? Esistono ancora? Certo. Ma funzionano bene, in tutte le loro componenti, sono centri animatori della gioventù, fucine di anime temprate alla preghiera, all’amore fraterno, alla solidarietà umana e cristiana? Dove l’oratorio è ben curato in una Parrocchia, si vede: v’è una gioventù che sa il fatto suo, dinamica, generosa, allegra, pronta alla collaborazione col sacerdote, fusa in un unico cuore.
Ricordiamo l’opera degli oratori milanesi nel tempo del nostro servizio pastorale in quella grande diocesi: e vorremmo che essi si consolidassero ovunque, per dare ai giovani, spesso lasciati in balìa di se stessi, un’occasione incomparabile di coesione, di animazione, di formazione della mente e del cuore, nella conoscenza e nell’amore di Dio, nel rispetto dei valori più alti, nel culto della preghiera - ricordiamo sempre l’etimologia di «oratorio»! - perché nulla manchi, di umano e di religioso, alla formazione integrale dell’uomo.
Avanti dunque con fede, con perseveranza, con serietà: è il voto che facciamo per voi e per tutti gli oratori e circoli giovanili. La nostra Benedizione tutti li sproni a meritare sempre più abbondanti le grazie del Signore!
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