PAOLO VI
UDIENZA GENERALE
Mercoledì, 15 dicembre 1976
«Prepariamoci al Natale curvandoci sull'umiltà del presepio in cui Cristo fu nostro»
Viene il Natale. Una domanda s’impone: abbiamo noi compreso il significato di questa annuale festività? Ne accettiamo noi davvero il valore relativo al nostro modo di pensare e di agire? Questa domanda è interessante, fino ad essere inquietante, perché al solo tentativo di penetrare con lo sguardo dell’animo in questo titolo di «Natale», sembra che il suo contenuto scoppi di densità, da non poterlo afferrare. S. Paolo, parlando appunto del mistero di Cristo, ci esorta a metterci in grado di comprendere nelle quattro dimensioni «l’ampiezza, l’estensione, l’altezza, la profondità» in cui esso si effonde fino a sorpassare ogni nostra capacità di conoscenza (Cfr. Eph. 3, 18-19). Per molti di noi il Natale è una semplice, se pur singolare ricorrenza di calendario, che ci porta una pausa nel consueto lavoro, un po’ di allegria, qualche regalo da fare e da ricevere, qualche svago di qualità, qualche vibrazione all’indice attivo e passivo del nostro bilancio. Veramente v’è qualche cosa d’altro che ci porta alle soglie del mondo della fantasia e della poesia: l’albero del Natale, «babbo Natale», e finalmente per chi vuol vedere dentro la realtà storica e religiosa del Natale: il presepio. Questa visione ingenua, innocente, realistica del Natale è certamente il punto prospettico migliore; essa ci offre, per immaginosa che sia, la scena autentica dell’avvenimento, di cui celebriamo il sacro ricordo; è bello, è pio, è edificante lasciarci incantare davanti al quadro idilliaco e arcadico di quella pagina evangelica, che ci riporta tutti, lieti e semplici come fanciulli, davanti al Bambino Gesù, venuto al mondo in tanta povertà e in tanto candore di natura e splendore di angeli che rendono trasparente l’oscurità della notte e riempiono il cielo di canti meravigliosi. Bellissimo. Ma basta questo momentaneo incantesimo a farci comprendere che cosa è il Natale? Abbiamo provato a cogliere la prima e spontanea impressione che l’umile scena del Presepio suscita nei suoi silenziosi osservatori? Cioè il confronto fra la nascita di Cristo nel mondo ed il mondo che la circonda? Ciascuno sembra poi invitato a porre il confronto fra Lui, Cristo, e se stesso; ad avvertire cioè quale rapporto vi sia fra la propria anima e l’avvento di Cristo; un rapporto molto problematico e incalzante; ma che noi, in questo momento e in questa sede, non vogliamo esplorare.
Vogliamo piuttosto porre un altro invito, quello del confronto fra l’arrivo di Cristo nel tempo e la storia dell’umanità. Meditazione senza confine, come il cielo intorno alla terra. Ma raccogliamo da così vasto quadro almeno questa impressione soverchiante: il momento del presepio si pone nel punto focale della storia universale. I secoli tendono verso questo infimo istante, quelli passati come una preparazione, quelli futuri come una conseguenza. Sappiamo di prospettare un fatto sproporzionato alla nostra intelligenza e perfino alla nostra immaginazione; ma è così. Dice San Paolo, quasi guardando sul quadrante del tempo che registra innumerevoli secoli: «. . . quando venne la pienezza del tempo (tò pléroma toû chrónou), Dio mandò il suo Figlio, nato da Donna» (Gal. 4, 4). La scena pastorale del presepio acquista un significato cosmico. La notte dei secoli è attraversata da un Pensiero vegliante, che a un dato momento effonde dal presepio una luce irradiante la storia del mondo; la storia qui ha la sua chiave, il suo segreto, il suo cardine, il suo senso, il suo destino. Il tempo, così opaco, così impossibile, così inesorabile, ha qui la sua luce (Cfr. Io. 1, 5; 12, 46). Qua noi dovremo sempre ritornare per comprendere il vero e profondo senso delle cose e della vita.
E ancora un’altra osservazione orientatrice del pensiero umano. E cioè: questa apparizione di Cristo nella storia ha una storia, passata e futura; un disegno, la cui cognizione almeno sommaria non può mancare al nostro Natale; vogliamo dire la rievocazione spirituale della preparazione etnico-storica della venuta di Cristo, quella che noi classifichiamo come «Antico Testamento»; e vogliamo dire la consapevolezza della sequela storico-religiosa alla venuta di Lui, quel «Nuovo Testamento» nel quale noi tuttora viviamo, in attesa d’un’escatologia finale, cioè di quell’«altro mondo», in cui il regno di Dio si manifesterà nella sua pienezza. E poi mille altri pensieri! Ma basti così.
Ma com’è bello aprire lo spirito alle grandi visioni del tempo, cioè della storia della vita umana partendo dall’umile presepio di Betlehem! Oh! grandezza della piccolezza di Cristo! Oh! venuta di Cristo a livello umano della nostra bassezza per sollevarci all’altezza della sua divinità! Oh! antinomia della nostra incapacità ad essere uomini veri e perfetti, e dell’onnipotenza liberatrice e salvatrice di Colui ch’è venuto per renderci «figli di Dio» (Io. 1, 12).
Prepariamoci al Natale, curvandoci su l’umiltà del presepio, in cui Cristo fu nostro, per sollevarci nel desiderio, nella speranza, nella grazia del Cristo glorioso, quando noi saremo veramente suoi.
Con la nostra Benedizione Apostolica.
Ai membri del Comitato permanente della «Fiaccola della Carità»
Costituisce un vivo piacere per noi potervi incontrare, cari dirigenti e rappresentanti del Comitato Permanente della «Fiaccola della Carità» che siete venuti a farci visita in occasione del quarto centenario della conversione di San Camillo de Lellis, ed a ringraziarci, altresì, per averlo proclamato Patrono della Sanità Militare Italiana.
Se dobbiamo, a nostra volta, ringraziarvi per quest’atto gentile e per i doni che ci recate, vogliamo anche esprimervi il nostro plauso ed incoraggiamento per i nobili ideali che animano la vostra Associazione, la quale, quasi erede della «Congregazione de’ Siculari» fondata dal Santo, si prefigge di sensibilizzare la società moderna e, in particolare, le persone addette all’assistenza dei malati, al dovere dell’amore cristiano verso chi soffre. A questo punto, si aprirebbe un discorso assai lungo ed ampio per materia e molteplicità di argomenti: la carità come supplemento e superamento della giustizia; la carità come spirituale vicinanza, anzi come comunicazione e comunione del fratello che sta accanto al fratello ammalato; la carità che, a noi assegnata come «comandamento nuovo» da Gesù (Cfr. Io. 13, 34), ha avuto il suo celebratore e cantore in San Paolo (Cfr. 1 Cor. 13), del quale certo San Camillo, per averla esercitata con sovrumano ardore spinto fino all’eroismo, ha tradotto in pratica il motto: «Caritas Christi urget nos» (2 Cor. 5, 14). Ma ci basti dare a voi, che a tale esempio vi ispirate, una semplice indicazione come un paterno ricordo: tenete sempre alta la vostra «fiaccola della carità», onde possa all’intorno diffondere i suoi raggi luminosi e benefici; sia essa una vera e convincente testimonianza della civiltà dell’amore; e, perché mai non si spenga, alimentatela a quel fuoco portato su questa terra da Gesù Salvatore (Cfr. Luc. 12, 49).
Con la nostra Apostolica Benedizione.
Ad alunni ed ex alunni del Collegio Nazareno di Roma
Diamo il nostro cordiale benvenuto alla rappresentanza degli alunni ed «ex alunni» del Collegio Nazareno in Roma, presenti a questa Udienza.
Conosciamo, carissimi figli, il particolare motivo della vostra visita: nel dirci il vostro sincero affetto, avete voluto anche dimostrarci la fiducia che riponete nella bontà e altresì nelle sue generose risorse che spesso si riscontra nell’animo degli studenti: infatti, per metterla nel giusto risalto, la vostra Associazione «ex alunni del Nazareno» ha istituito il premio «l’Alunno più buono d’Italia», che quest’anno è stato assegnato ad Antonella Rubegni, segnalatasi per la sua dedizione ai propri familiari colpiti da grave infermità.
Nel manifestare il nostro compiacimento, rivolgiamo un paterno incoraggiamento a tutti gli alunni delle scuole italiane, affinché, nelle diuturne fatiche dello studio, esercitino esemplari virtù nell’ambito domestico e nella comunità sociale.
Per il compimento di tali doveri è incitatrice la funzione della famiglia: essa, nata per l’unione di tutti i suoi membri, è base di crescita fisica e spirituale, ed è parimente, alla luce delle verità cristiane, centro qualificato di annuncio della buona novella, per la missione da Dio conferita per la grazia sacramentale ai maggiori responsabili, i genitori.
Invochiamo su di voi e su tutti i vostri cari i continui doni dell’assistenza celeste e di gran cuore vi benediciamo.
A un gruppo di sacerdoti americani e a un gruppo di «Christian Brothers»
With paternal affection in Christ Jesus we extend a special welcome to the group of American priests who have just completed their course of continuing theological education. Dear sons, you have come to Rome in search of renewal and strength for your priestly lives. And you must always seek this renewal and strength in a greater understanding and love of the mystery of Christ. To share in the mystery of Christ must always be the goal of our lives. Each of us must say with Saint Paul: “I wish to know Christ and the power flowing from his Resurrection” (Phil. 3, 10). And for the glory of God may you proclaim to your people, by word and example, the life-giving mystery of Christ.
Our affectionate greetings go likewise to the Tertian Group of Christian Brothers who are engaged in a course of spiritual renewal. Our prayer for you is that you will find great joy in the Word of God, fresh energy for your apostolate of Catholic education. To belong entirely to Christ in consecrated love, to serve him in his Church, and to communicate him to the young is a great vocation, a great gift of God. Be always strong and faithful-faithful for ever.
Ai partecipanti a un corso di perfezionamento dell’IRI
Un saludo particular para el grupo de participantes latinoamericanos en el Curso pogramado por el IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale), a quienes acompañan algunos dirigentes del mismo.
Habéis sentido en vuestro ánimo, amadísimos hijos, la inquietud por perfeccionar vuestros conocimientos técnicos y la urgencia de renovaros personalmente para mejor servir al progresivo adelanto en vuestros respectivos países.
Nos congratulamos por ello y os exhortamos a infundir en torno a vosotros ese espíritu de servicio, con la voluntad consciente de que los bienes y recursos de que disponen vuestras Naciones cumplan debidamente su función social. He ahí vuestra tarea que, unida a un testimonio de fe y de esperanza cristianas, os darán la íntima alegría de trabajar por una tierra más solidaria y un hombre más completo en su dignidad humana y espiritual. Con nuestra Bendición Apostólica, para vosotros y vuestros seres queridos.
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