OMELIA DI PAOLO VI
IN PREPARAZIONE ALLA PENTECOSTE
Domenica, 30 maggio 1965
Sostiamo un momento sulle parole sacre che ora ci sono state lette. Donde vengono? Dal Vangelo di San Giovanni; da quel Discorso nella notte precedente la Passione del Signore, che fu in gran parte trascorsa in una lunga effusione di Cristo, quasi un soliloquio, in cui, per l’ultima volta durante la vita temporale, Egli esortò e consolò i suoi Discepoli, nella pace dell’ultima Cena e nella tensione spirituale di quella vigilia tremenda.
Il Signore apre il cuore e dice le ultime cose, come fosse già morente e avesse da consegnare gli estremi ricordi a coloro che gli sono rimasti fedeli. Queste solenni espressioni riguardano ciò che sarebbe avvenuto dopo il grande dramma ormai imminente. Hanno accenti di predizione, di profezia: ed ecco perché la Liturgia ci presenta questo brano evangelico nella domenica che segue la memoria della gloriosa dipartita di Gesù da questo mondo, cioè la sua Ascensione al Cielo. Pensando precisamente al suo commiato, si pone la domanda: che cosa ci ha detto, anzi predetto? La risposta si trova appunto in quanto è riferito dall’Evangelista Giovanni. Vediamo, in quel ch’egli ci narra, quasi due paragrafi. L’uno concerne la duplice testimonianza: dello Spirito Santo ai Discepoli di Gesù, e quella dei Discepoli al mondo. Il secondo paragrafo, sul quaLe ora sostiamo, riguarda una predizione triste che il Signore fa ai suoi Alunni. Ricordatevi: sarete accolti male; incontrerete difficoltà, e proprio per il mio nome vi escluderanno dagli altri consessi, dalle altre riunioni, dalla società sia religiosa che civile. Sarete oggetto di avversioni, e si giungerà fino al punto di credere che il sopprimere voi sia rendere ossequio a Dio: come a significare gli eccessi a cui, secondo il previsto, gli atti persecutori contro il Cristianesimo potranno arrivare.
La profezia non deve produrre smarrimento, come se si pensasse che il Signore ha mancato di parola circa le sue promesse e che noi ci troviamo delusi nel non vedere il trionfo della sua missione liberatrice, e quasi che ad annunciarla, invece di raccogliere consensi e gioia, si debba incontrare una serie resistente e insormontabile di ostacoli. Noi siamo piuttosto indotti a considerare un fatto che sembra non giustificato da motivi plausibili. Perché il Vangelo deve essere accolto male? Manca forse di intrinseca verità il suo insegnamento? È forse privo di bellezza, di corrispondenza alle aspirazioni umane, di vantaggi anche sensibili e terreni? Sappiamo che così non è. E allora, perché gli uomini non accolgono il Cristo, non Lo ascoltano; perché sono tanto prevenuti a suo riguardo, e si rivoltano ostili a coloro che lo annunciano, considerandoli molesti, indiscreti, o perturbatori d’una così sudata festa con il loro moralismo e i loro annunci estranei all’ordine temporale
In realtà, come occorse al Divino Maestro in persona, il Vangelo rimarrà sempre, lungo le epoche, segno di contraddizione. Gesù non ha avuto vasta e felice rispondenza al suo apostolato. Ha incontrato, sì, anime aperte e pronte e poi fedelissime, ma si è imbattuto pure in tante anime sorde, fredde, piene di preconcetti e di reazione contro la sua parola. Il suo stesso popolo non è stato accogliente; alla fine il Signore ha dovuto soccombere; non è stato proclamato quale la gente si aspettava. Il Messia dei tempi e il Messia della liberazione viene condannato e messo in croce. Il Signore è stato Egli stesso vittima della sua parola. Aveva detto tante volte nel Vangelo: Beati coloro che non si scandalizzeranno di me, che non avranno vergogna di me, che accoglieranno la mia parola. Ebbene, l’accogliere questa parola non arreca felicità esterna; mentre Gesù fa, di tale accoglienza, la ragione discriminante tra coloro che ascoltano e si salvano e gli altri che si ostinano ad ignorare.
Il fenomeno si ripete per i Discepoli, nella predicazione dei primi anni dell’era cristiana. Chi legge gli Atti degli Apostoli resta colpito dal dramma inerente alla enunciazione dell’insegnamento di Cristo: una fitta serie di scontri, rifiuti, diffidenze. Quale dolore per i Dodici! San Paolo, nel suo tratto autobiografico, pone in evidenza le acute tribolazioni che egli dovette sopportare. Il retaggio di sofferenze si prolunga nella tradizione e nella storia successiva. Il Cristianesimo ha conseguito buone accoglienze e vittorie; ha suscitato numerosi fedeli, ha avuto la gioia di vedere innumerevoli anime che hanno ben compreso lo spirito del Vangelo e la sua potenza nella economia della salvezza. Ma, nel contempo, non sono mancate grandi opposizioni. Per secoli tanta parte dell’umanità ha cercato di soffocarlo, di reprimerlo; lo ha condannato con la sentenza grave ed assurda: non è lecito essere cristiani! Non dobbiamo dimenticare che siamo presso la Tomba del Principe degli Apostoli, il quale è morto, ha dato il sangue appunto perché la parola sua non era accettata. Tutto ciò è proseguito, attraverso successive età, nella vita della Chiesa.
Né ignoriamo che, pure ai nostri giorni, l’accoglienza riservata alla Chiesa, al Cristianesimo, non è logica, non è uniforme. C’è, senza dubbio, chi capisce il Vangelo, lo pratica, se ne alimenta, ed è convinto che ivi è la soluzione autentica della vita; là il segreto della perfetta felicità. Ma quanti, al contrario, sono distratti, o annoiati dalla predicazione cristiana! Quanti la criticano, la travolgono o cercano di soverchiarla con altre predicazioni; la dicono sorpassata, inutile, nociva; e quanti altri cercano perfino di distruggerla, come se fosse un impedimento al vero progresso umano e alla desiderata pienezza dei tempi!
Ancor oggi e sempre vige la profezia di Cristo, sulla quale stiamo meditando. In proposito il Vangelo insinua una spiegazione misteriosa che, invece di illuminarci subito, ci lascia quasi abbagliati. Faranno questo - dice Gesù - perché non hanno conosciuto Me, né il Padre. Tale ignoranza dichiarata su Dio e circa la salvezza, da Lui offerta per mezzo di Cristo, sarà la causa del grande equivoco storico in cui si identifica la persecuzione inflitta al Cristianesimo. All’origine di tale opposizione è questa ignoranza, con le attenuanti sue proprie, ma anche con tutte le aberrazioni conseguenti, che arrivano sino a negare la scienza di Dio.
Pertanto noi, che siamo e intendiamo rimanere sempre fedeli, che cosa dobbiamo fare? La risposta ci viene ancora dalle labbra stesse di Gesù: «Non abbiate paura, non scandalizzatevi!». Vocabolo caratteristico del Vangelo: che cosa vuol dire scandalizzarsi? Vuol dire inciampare; urtare in un ostacolo imprevisto; rovesciarsi e cadere per terra. Ebbene, il Signore ci dice: State attenti; incontrerete sicuramente molte difficoltà; ma non dovete scoraggiarvi, non dovete perdervi d’animo, né lasciarvi vincere dallo stupore, dalla meraviglia, dal paradosso, insomma, di questa vicenda. Essa dovrebbe svolgersi trionfalmente, ed è, invece, irta di contrarietà ed opposizioni.
Non scandalizzatevi! Potremmo qui applicare proprio a noi stessi l’esperienza attuale, e quasi misurare sulle nostre anime questa parola di Gesù. Certo, chi ama il Signore, e si dedica alla sua causa; chi ama il prossimo e vuole il bene dei fratelli, della propria famiglia civile, ha il desiderio di effondersi, è l’apostolato, come lo si definisce oggi, ha sete di condividere con altri questa salutare convinzione della fede e questa operante esperienza della carità. Il vedere che, al contrario, gli altri non accolgono l’invito e ne prendono anzi motivo o pretesto per divenire avversari; il notare che, di fronte al Vangelo, non vibra subito pienezza di consensi, ma gli si attribuisce una logica più debole di quella umana, produce sgomento. Si direbbe che gli altri sono più abili nella propaganda e nell’organizzazione, e perciò la sapienza terrena ha una forza persuasiva più agile e immediata.
Ne consegue una specie di scandalo interiore: forse noi sbagliamo? siamo davvero diffusori della parola di Dio? abbiamo piena fiducia in essa? In profonda angustia, qualcuno arriva a dubitare di se medesimo o a credersi in colpa per non essere riuscito ad annunciare bene la verità del Signore. È possibile. Comunque, o per insufficienze soggettive o per la tristezza dei tempi, può esservi realmente chi cede, temendo di non aver scelto il cammino giusto. Altri invece cercano di adattarsi, di andare d’accordo. In fondo - asseriscono - il Vangelo è pieno di elasticità, di possibilismi. È: tanto umano, che può essere applicato ad ogni evenienza. Mettiamo da parte - dicono - le obbiezioni, gli ostacoli, anche se sostanziali; cerchiamo di essere calmi e transigenti, arriveremo ad una pace... Così pensando ed agendo, si discende al livello degli altri, piuttosto che sollevarli al livello nostro. Perciò questo non è un irenismo buono, non è la vittoria del Vangelo, bensì una acquiescenza verso l’ideologia altrui. Il caso è frequente anche nelle nostre file, anche ai giorni nostri.
Occorre, adunque, rimanere saldi, ancorati alla parola di Gesù: - Non scandalizzatevi, non abbiate paura! E cioè: non crediate che la verità si misuri dai risultati subito evidenti nelle anime a cui è proposta. Dovrebbe, si, essere immediatamente accolta, trionfare, passare da cuore a cuore e produrre una festa di splendori in quanti sono conquisi da questa illuminazione divina. Ma così non è. La statistica dei consenzienti al Vangelo paragonata a quella della opposizione presenta, non di rado, dati sconcertanti.
Ora il Signore così indica il rimedio per riconfortarci: Ricordate - e ve l’ho detto e predetto - che tale è la storia del Vangelo; che nulla v’è di strano in quanto accade, che tutto entra in un quadro molto più vasto e profondo di quello ora comprensibile: il quadro del bene e del male insieme conviventi e dove il bene sembra essere più debole del male.
Seguendo ed imitando il Divino Maestro, il suo Vicario in terra ripete ora a chi lo ascolta le stesse parole del Salvatore: Siate forti, siete coraggiosi, siate apostoli. Non perdetevi d’animo mai, qualora i risultati non corrispondano alle vostre fatiche, alle vostre aspettative. Guardate che il Vangelo non è stato mai sconfitto. Siamo noi forse ad esserlo, noi poveri operai che il Vangelo non sappiamo bene divulgare e personificare. Ma il Messaggio di Gesù rimane sempre quello che è: via, verità e vita per gli uomini. Siamo dunque fiduciosi, perseveranti, fedeli; secondo la formula che San Pietro indicava già alle nascenti comunità cristiane, divenuta oggi speciale programma di azione delle donne cattoliche: «Fortes in fide». Siate forti nella fede, anche se questa non è confortata da successi, applausi, e da pronte adesioni.
Raccogliamo la parola di Cristo e l’invito dell’Apostolo; incidiamo l’una e l’altro nel nostro cuore; e procediamo generosi e ferventi nel cammino intrapreso, uniti in piena adesione a Nostro, Signore : «Fortes in fide!».
Nel centenario del Servo di Dio A. Kolping
Euch, liebe Kolpingssöhne, die ihr aus aller Welt nach Köln gekommen seid, um des 100. Todestages des grossen Volkserziehers und Sozialreformers Adolph Kolpings zu gedenken, gilt Unser herzlicher Gruss. Ihr wollt euch damit zum Werk Kolpings bekennen, das heute Auftrag und Aufgabe besitzt wie in der Zeit seiner ersten Anfänge.
Ihr habt eure Tagung unter das Thema «In Liebe gebunden frei für die Welt» gestellt und sagt damit aus, was Kolping zum Inhalt seines und eures Werkes machen wollte.
Das Kolpingwerk ist eine Erziehungsgemeinschaft, in der sich junge Handwerker durch die Liebe Christi gebunden fühlen, die sich alsdann frei in der Welt ausbreitet in einer Aktionsgemeinschaft katholischer Männer. Eure Erziehungsgemeinschaft hat zum Ziel die Formung der Jugend, der Familie, des Volkes. Euer Merkmal ist, katholische Gemeinschaft zu sein. Eure Formung hat daher ihr Schwergewicht in der religiösen Bildung, von der ihr wisst, dass sie Grundlage jedes echten und wahrhaft glücklichen Lebens sein muss. Eure tiefe religiöse Oberzeugung schenkt euch zugleich jene beglückende Sicherheit, die den Christen in dieser Welt auszeichnen soll. So ist das erste Anliegen eures Gründers, glaubensstarke Persönlichkeiten heranzubilden.
Ihr nennt eure Gemeinschaft «beseeltes Instrument der Kirche», das sich bewusst in ihr soziales Apostolat stellt. Solcher Dienst fordert persönliche Tüchtigkeit im Beruf, fordert die Pflege gesunden christlichen Ehe- und Familienlebens und ernste Verpflichtung der Einzelpersönlichkeit für Volk und Staat. Die heutige pluralistische Gesellschaft erwartet mehr denn je hochherzige Einstellung zum Besten des Gemeinwohls, wie es euer Werk von jedem seiner Mitglieder verlangt.
Diese Gesinnung suchen über 250.000 Kolpingssöhne im eignen täglichen Leben zu verwirklichen, in den Gemeinschaften eurer Vereine, in hunderten von Gesellenhäusern und Jugendheimen, in Jugendlagern und nicht zuletzt durch Unterstützung der Gastarbeiter oder durch Hilfen für berufliche Fortbildung der Handwerker in den Entwicklungsländern.
Allen diesen Werken liegt letzten Endes das Anliegen Kolpings zu Grunde, die werktätig schaffende Welt in der Kraft und Liebe Christi zu erneuern. Dieser Geist möge in euch, geliebte Söhne, nach dem Treffen in Köln neu erstarken! Dazu erteilen Wir euch und euren Familien wie allen Kolpingssöhnen auf der weiten Welt von ganzem Herzen den Apostolischen Segen.
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