DISCORSO DI PAOLO VI
ALL’AMMINISTRAZIONE AIUTI INTERNAZIONALI
Lunedì, 9 marzo1964
Cari Signori,
La vostra presenza richiama la Nostra attenzione innanzi tutto sopra due circostanze particolari, le quali riguardano simultaneamente voi e Noi, e sulle quali non Ci sembrerebbe sincero in questa occasione del tutto tacere.
La prima, voi la conoscete, è costituita dal fatto che il vostro Presidente, dall’origine ad oggi, è il Nostro carissimo fratello Lodovico, che qua vi ha condotti e che ha dato modo, molto discretamente, anche a Noi di seguire, con interesse e con ammirazione, il vostro sorgere, la vostra graduale costituzione e la vostra provvidenziale e meravigliosa attività. Non possiamo tralasciare, a questo riguardo, una Nostra lode a lui ed ai suoi collaboratori, tanto più esplicita e riconoscente, quanto meno l’affezione fraterna vi ha parte. Pensiamo che voi tutti avrete notato, specialmente quelli fra voi che hanno funzioni centrali e responsabili nella vostra grande e bene ordinata amministrazione, come Noi siamo rimasti sempre e volutamente estranei a tutta la vostra attività, anche se non avrebbe costituito indiscrezione da parte Nostra l’osservarla più da vicino e cercarne qualche contatto; ma, fra noi due fratelli, abbiamo preferito abolire, fin dal principio, ogni interferenza reciproca nel campo della rispettiva competenza; così che questo Nostro riconoscimento ha carattere di libera, e perciò più attendibile testimonianza d’un grande bene compiuto; e Noi sappiamo con quanta passione e con quanto disinteresse.
La seconda circostanza particolare riguarda la fortuna che Noi avemmo di favorire, in esecuzione agli ordini, tanto premurosi e paterni verso la Nazione italiana, del Nostro Predecessore Papa Pio XII, di venerata memoria, il primo afflusso di soccorsi americani nel momento più critico e penoso per questo Paese, alla fine della tragica guerra: nacque allora anche in Italia l’UNRRA, con tutte le sue provvidenze, e sorse poi l’ENDSI con le opere collegate in Soccorso degli smisurati bisogni, in cui versava il popolo italiano. Diciamo questo per farvi comprendere come siamo cordialmente legati alle istituzioni che, in seguito a ciò, voi avete formate e alle finalità, che voi perseguite. Siamo vostri amici della prima ora, nelle condizioni migliori perciò per apprezzare l’opera vostra e per augurarle ogni felice incremento.
Ma la vostra visita stimola il Nostro pensiero su altre circostanze d’indole generale, che Ci piace qui brevemente richiamare. E la prima riguarda il vostro nome di «aiuti internazionali», la vostra storia, breve negli anni, ma assai significativa nello sviluppo della civiltà, in questo nostro mondo moderno, agitato e attraversato da principii, e conseguentemente da fenomeni che lo rendono a se stesso tragicamente nemico; e nello stesso tempo percorso da correnti umanitarie costruttive, che lo assistono, lo confortano, lo rimontano, lo riconciliano e gli prescrivono come programma indeclinabile quello della fratellanza e della bontà. Sì, la vostra presenza nella scena del dopoguerra e di questo suo successivo periodo, che sembra deciso a cambiare la faccia della terra, Ci sembra espressione consolantissima di quello spirito umanitario, ch’è pur nato dai dolori dell’ultimo conflitto mondiale, e che, volere o no, possiamo chiamare cristiano, se cristiano è il soccorso che il vincitore offre al vinto, il benestante all’indigente, il cittadino del mondo moderno ai concittadini bisognosi e infelici. Voi siete il segno operante d’un umanesimo che parte da un concetto universale dell’uomo, da una fraternità che non ammette confini e discriminazioni, da un senso di responsabilità di tutti verso ognuno e di ognuno verso tutti, e da un esercizio positivo e generoso della solidarietà umana; spontanea, gratuita, intelligente, costruttiva, quale non si era ravvisata, se non in piccola scala ed in forme occasionali, prima di questi anni tremendi, ma forse innovatori nella saggezza e nella beneficenza. Il vostro prodigio si è che voi siete veicolo d’un’estensione meravigliosa del concetto di prossimo; voi operate in virtù di Chi ha voluto chiamare prossimo il lontano, conoscente lo sconosciuto, fratello lo straniero, amico il nemico, in una parola uomo l’uomo. Ora questo è nuovo, questo è meraviglioso, questo è civile; e, se si ricercano le ragioni valide e determinanti, che non solo spiegano, ma esigono il processo d’un tale fenomeno, dobbiamo ancora ripetere: questo è cristiano. Non diciamo questo per attribuire alla vostra attività un carattere confessionale o religioso, che essa non ha, ma per congratularci con voi, con quanti hanno merito nel concepire e nel promuovere la vostra stessa attività ed anche col mondo, che voi rappresentate, per congratularci, diciamo, della penetrazione salutare dei principii evangelici nella concezione della vita e nel costume che veramente merita il titolo di moderno e di civile.
Ed anche accenniamo a codesta altezza dei criteri ispiratori del vostro magnifico programma umanitario, perché nelle vostre riflessioni non vi dispiaccia ricercarne le vere, intime ragioni; e perché non mai sorga in voi la tentatrice illusione che il bene da voi voluto e da voi compiuto possa ormai prescindere e possa ormai totalmente staccarsi da quelle umili, silenziose e generose radici della carità cristiana, che ci ha insegnato a dare senza chiedere, a offrire senza applausi, a soffrire senza lamenti, ad amare per motivi che nessuna contraria esperienza può vanificare. Lo splendido criterio anti-economico della vostra gratuita e munifica assistenza, per non apparire un giorno paradossale e insostenibile, non potrà che giovarsi di tale insegnamento.
Ma vogliamo ricordare un’altra circostanza, anch’essa a voi riferibile in senso generale, che trattiene la Nostra attenzione e merita il Nostro aperto riconoscimento; e riguarda il modo con cui si svolge la vostra benefica attività. Ed il modo è bellissimo e degno di ogni considerazione anche da parte Nostra, vogliamo dire anche da parte delle opere assistenziali, benefiche, caritatevoli, che derivano dalla tradizione religiosa, e che tuttora fanno capo al settore delle opere pie e della beneficenza ecclesiastica. Il bisogno di perfezionare il modo di esercitare l’assistenza, o l’esercizio della carità che dir si voglia, era ed è largamente sentito; già andava sollecitando opportune innovazioni; ma è fuori dubbio che voi avete coraggiosamente stimolato tale bisogno e, per quanto è da voi, lo avete sagacemente soddisfatto. Quel motto, caro ad un altro nostro Predecessore, Pio XI, anch’egli di gloriosa memoria, che «bisogna fare bene il bene», sembra aver caratterizzato tutta la vostra attività; discepoli, a vostra volta, dei metodi instaurati in altri Paesi, negli Stati Uniti d’America specialmente ed in Germania e nella Svizzera, siete qui felicemente diventati maestri. Troppo vi sarebbe da dire a questo riguardo; ma vi basti ora che Noi vi esprimiamo lode e riconoscenza per aver impresso all’esercizio assistenziale ottime regole: dall’esigenza di specifiche qualificazioni nelle persone addette a tale esercizio, dalla programmazione scientificamente calcolata dell’opera da svolgere, dalla pianificazione concepita organicamente per vari bisogni concomitanti e largamente per zone estese reclamanti uniforme soccorso, dalla continuità dell’aiuto prestato in modo che questo riesca sufficiente e tranquillizzante, voi avete rivolto l’opera vostra a una duplice ulteriore finalità, quella di rendere l’opera assistenziale così saggia ed efficace da mettere alla fine l’assistito in condizione di fare da sé e di non pesare più sull’altrui soccorso; e quella di tener conto della complessità della natura umana dell’assistito, che non ha soltanto necessità di pane materiale e di cure fisiche, ma ha altresì ben altre indigenze affettive, morali, pedagogiche, spirituali, a cui, se non è sempre possibile all’assistenza recare soddisfazione, non deve essere impedito, anzi deve essere favorito che altri la rechi: la famiglia, specialmente, la scuola, la Chiesa.
Ed ecco allora un’ultima circostanza che Ci sembra doveroso rilevare, sempre a vostro onore ed a reciproca soddisfazione; la circostanza dei rapporti dell’Amministrazione degli Aiuti Internazionali con le migliaia di enti assistenziali privati, dei quali è piena l’Italia, e tra i quali molti sono dipendenti da opere pie, o da famiglie religiose, o dall’organizzazione ecclesiastica, Noi sappiamo che a questa innumerevole costellazione di iniziative benefiche voi avete prodigato un primo, grandissimo beneficio: quello del rispetto alla loro caratteristica fisionomia, anche se spesso questa fisionomia è umile e dimessa, ma degna di tanto riguardo per i segni di tradizioni talvolta nobilissime che la contrassegnano, per quei segni della bontà industriosa di persone benefiche che vi hanno riflesso il cuore del nostro popolo e ne hanno fatto immagine esemplare di virtù umane e di operoso civismo, e spesso per quelli del genio del bene, che sa scoprire malanni ed apprestare soccorsi, che l’iniziativa pubblica molte volte non può né individuare, né soccorrere. Avete cioè favorito la libertà di fare del bene al prossimo; avete onorato l’iniziativa benefica privata, la quale, mentre ha l’obbligo morale di esplicare quanto maggiori energie le sia possibile in vantaggio dei bisogni che la circondano, ha il diritto, entro la sobria guida di pubbliche leggi moderatrici, di svolgersi, in questo campo specialmente, con tutta spontaneità, e d’essere aiutata e sostenuta nei suoi sforzi com-moventi, spesso impari allo scopo superiore che si propone
Ed è questo il secondo beneficio, anche questo d’inestimabile valore, che voi avete prodigato in questi anni agli Enti privati di assistenza e di beneficenza, tra cui, dicevamo, molti appartengono alla sfera delle nostre opere pie, il pane; si, il pane per vivere, cioè la fornitura di generi alimentari, integrandola talora con altre provvidenze, dando così modo di fiorire nel bene a tutte queste deboli e povere, ma ammirabili iniziative. La vostra assistenza è assurta a cotesto secondo grado di sostenere e promuovere l’assistenza altrui di primo grado, cioè quella a contatto diretto ed umano con l’assistito, evitando che questo contatto diventasse, come spesso succede per chi non lo esercita per vocazione o per ideale missione professionale, un contatto impersonale, freddo, burocratico, forse più idoneo a suscitare critiche e pretese, che a rendere buono, consolato e riconoscente il beneficato. Vi siete sapientemente limitati a dare e a controllare l’impiego del vostro contributo; avete lasciato ad altre mani e ad altri cuori distribuire e riscaldare di umana affezione il dono materiale; avete così concesso che il dono materiale diventasse anche spirituale; e vi siete meritato, con la riconoscenza di tali enti operatori di capillare assistenza, la simpatia dei vostri beneficati, e certamente la compiacenza di Dio.
Noi vorremmo essere, in questo momento, interpreti appunto dei milioni di esseri umani, da voi assistiti; e il Nostro ministero di sommo Pastore e di rappresentante di quel Cristo, ch’è nascosto in ogni vita che soffre, Ci autorizza, sì, a dirvi grazie in nome di tutta questa schiera innumerevole di bambini, di poveri, di malati, di profughi, di giovani, di lavoratori, beneficati dall’opera vostra; e vi diremo grazie anche in nome delle istituzioni pie e caritative, che la vostra oculata e provvida generosità ha messo in condizione di fungere a comune soddisfazione.
Non Ci resta che da augurare che l’opera vostra possa continuare! Troppo Ci è noto quanto ancora miriadi di umili vite hanno bisogno di un’ordinata assistenza, quale voi avete organizzata. E nella lieta speranza che così sia, benediciamo quanti all’assistenza vostra danno aiuto ed attività, su tutti implorando le divine ricompense.
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