DISCORSO DI PAOLO VI
AI VISITATORI GIUNTI DALL'INDIA
Venerdì, 11 giugno 1965
Il Santo Padre saluta i presenti, rilevando come l’adunanza in atto comprende visitatori gli uni giunti dall’India, gli altri da Brescia; e molti, inoltre, delle comunità indiana e bresciana residenti in Roma. Per tutti, subito, una paterna parola di benvenuto e di augurio.
Dopo questa premessa, è d’uopo notare che nessuno dovrà stupirsi se l’attenzione deve, oggi, portarsi anche alla presenza di insoliti ospiti di ben diversa natura: i due leoncini. Guardarli e informarsi della provenienza è tutt’uno. Sono arrivati dall’India.
Una volta gli antichi geografi, che poco conoscevano le regioni sia dell’Africa che dell’Asia, quando dovevano tratteggiare quelle terre, si trovavano d’impaccio, e incidevano sulle carte topografiche la scritta: «Hic sunt leones»: qui ci sono i leoni; non c’è nulla da fare, non si procede oltre. Una diffusa ignoranza, quindi, di quei continenti, come abbandonati, nella immaginazione dei lontani, al dominio di esseri pericolosi.
La realtà è ben diversa. Questi due leoncini vengono dall’India. E il Papa non può certo dire che colà esista una temuta supremazia di ferocia. Ivi Egli ha trovato bravissima gente, dei cari amici, tutto un nobile ed accogliente popolo, profondamente buono, mite; che anzi si distingue proprio per l’amore alla pace e per le virtù della mansuetudine, della cortesia, della civiltà ben radicata nel costume. Perciò Egli invia all’India il suo cordiale saluto, lieto che la memoria della sua visita gli sia ravvivata pure da una felice antitesi. Non leoni, ma pacifici agnelli; o meglio, leoni che biblicamente si accomunano con gli agnelli e vivono insieme nella concordia e nella pace.
Sua Santità è vivamente commosso per l’amabile gesto. Un grazie particolare Egli dà alle ottime Suore che hanno fatto da tramite e da scorta. Il saluto riconoscente, specialissimo, va, anzitutto, al Signor Governatore di Bombay - che ha avuto il gentilissimo e felice pensiero di mandare al Papa un dono molto gradito - ed agli altri che hanno approvato e con lui condiviso l’iniziativa.
Ed ora, volendo seguire la costante norma di riferirsi ad un pensiero superiore, a seconda delle varie circostanze, ecco una riflessione che ben si addice all’avvenimento.
Che relazione può esservi tra il Papa e i due ospiti da giardino zoologico?
Sarebbe oltremodo interessante imbattersi in qualche pubblicazione che parli sistematicamente degli animali, di cui si fa cenno nella Sacra Scrittura; giacché di animali si parla assai nei Libri Sacri, a cominciare dal serpente dei primi giorni, causa di tutte le nostre disgrazie.
Ma poi è agevole rilevare come tutte le creature inferiori all’uomo, a cominciare da tanti bellissimi animali, sono destinate a condividere tanta parte della sua vita, ed essere a lui di aiuto.
Gli armenti, le pecore, i cammelli, i cavalli ed altri, fanno nel Vangelo, e soprattutto nell’Antico Testamento, grande figura. Che dire, poi, degli animali del sacrificio nell’antico Patto, ammessi soprattutto ad adombrare l’immolazione suprema di Nostro Signore? Non hanno essi forse una funzione rappresentativa di grande statura, posti, come furono, a indicare il grande disegno redentore?
La curiosità procede, soffermandosi, di preferenza, al Vangelo. Quale il ruolo svolto dagli animali nel Vangelo? È bello ripensare subito alla mangiatoia della grotta di Betlem; al giorno della Presentazione al Tempio con l’offerta delle tortore e delle colombe. Sappiamo che il Signore, specie durante gli anni della sua predicazione, ha avvicinato anche le belve. «Eratque cum bestiis». Il Signore abitò con gli animali, anche con quelli feroci: lo sappiamo dal racconto rapidissimo e sintetico di San Marco, il discepolo di San Pietro, dunque bene informato. L’Evangelista, nella pagina del digiuno di Gesù, spiega che il Signore dimorò tra le fiere, nel deserto di Giuda. E ancora: il trionfo del Signore a Gerusalemme tra le palme e gli ulivi non si effettuò mentre Egli entrava nella Città Santa cavalcando un asinello?
Altra considerazione di vasta portata: l’uso, che il Vangelo fa, non più con riferimento reale, bensì con quello simbolico, degli animali.
Ognuno rifletta: il Divin Salvatore è chiamato l’Agnello di Dio. Ciò conferma che gli animali, queste creature destinate al servizio dell’uomo, hanno una capacità rappresentativa che arriva a concetti sublimi.
E non è tutto. Continuando a spigolare, possiamo vedere che cosa raffigurano gli uccelli, i pesci, gli stessi animali immondi (un giorno il Signore ne fulminò ben duemila, liberando l’indemoniato di Gerasa); e altri che, invece, diventano simboli graditi come la colomba; fino ad arrivare ad un annunzio stupefacente: il Signore che si paragona alla chioccia, premurosa di raccogliere i piccoli sotto le sue ali. A raffigurare, cioè, le sollecitudini del Redentore nel volere tutti salvi con il suo Messaggio evangelico.
Orbene - continua il Santo Padre - anche noi possiamo considerare gli strani visitatori di oggi allo stesso modo con cui il Signore si è servito di quelli che ha incontrato sui suoi passi. Assumerli, cioè, come simboli. Che cosa significano, quali immagini, quali concetti possono essere applicati a questi cittadini del regno animale?
È facile. Basta dire che tutta l’araldica ne è piena. Basta dire, nel nostro caso, che lo stemma di Brescia, cui i due leoncini sono destinati, contiene la leonessa; il che diede spunto, al poeta post-risorgimentale di definire la cara città forte, ferrea, «leonessa d’Italia». Quale il profondo significato di questa denominazione? in che modo intendiamo applicare noi l’appellativo?
Che Brescia sia sempre fedele al suo simbolo. Sia sempre coraggiosa, forte, leale; che in ogni momento abbia e dimostri quelle virtù che l’araldica e l’uso comune attribuiscono a questi nobili animali.
Deve essere, perciò, non una città debole, imbelle, pavida, bensì vigorosa, consapevole delle proprie grandi tradizioni; decisa a mantenerle, anzi a migliorarle.
Ed i bambini, a cui accennava il Signor Sindaco, che da domani andranno a vedere i . . . leoni del Papa, sappiano sin d’ora imparare ad essere bravi figliuoli, sereni, fedeli, come è ampiamente indicato nella cristiana storia di Brescia, enunciata appunto dal suo stemma, che indica un encomiabile passato ed accenna a meritorio avvenire.
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