DISCORSO DI PAOLO VI
NEL XXV DELLA RIVISTA «LA ROCCA»
DELL'ASSOCIAZIONE «PRO CIVITATE CHRISTIANA»
Venerdì, 4 novembre 1966
Ecco Don Giovanni Rossi, ecco la schiera dei suoi seguaci e collaboratori formanti il nucleo centrale dell’Associazione «Pro Civitate Christiana» residente ad Assisi, ecco il grande gruppo dei redattori, scrittori, lettori ed amici della Rivista «La Rocca», che festeggia il XXV anniversario della sua pubblicazione, e che per la lieta occasione promuove questa visita, tanto fervorosa e tanto significativa.
Siamo lieti di questo incontro, che Ci offre l’opportunità di salutare e di benedire l’ideatore, il fondatore, l’animatore di queste istituzioni e di queste attività, Don Giovanni Rossi, che la scuola da lui frequentata nell’intimità e nella fedeltà d’un servizio quale compete al Segretario d’un Pastore di anime (anche Papa Giovanni fu a simile scuola, quella di Mons. Radini Tedeschi, e non mancò di ricordarlo tante volte lui stesso), che la scuola, diciamo, del Servo di Dio Cardinale Andrea Ferrari iniziò alla conoscenza amorosa del mondo moderno, all’ansia apostolica di ristabilire con esso un colloquio, all’ardimento di nuove forme d’apologia; Don Giovanni Rossi, di cui ormai il pubblico conosce la storia, l’originalità, l’intraprendenza, la religiosità, la personalità invitante e dominatrice; Don Giovanni Rossi, predicatore di tante missioni popolari, ideatore degli incontri spirituali più vari, fondatore nel clima unico e nel quadro superlativo della terra di San Francesco di quella sua «Pro Civitate Christiana», di cui voi ben conoscete gli intenti, le affermazioni e l’irradiazione; Don Giovanni Rossi, direttore della Rivista oggi commemorante i suoi cinque lustri di vita, ecco egli conduce a Noi la corona dei suoi figli spirituali e la folla dei suoi amici e dei suoi clienti: Noi gli siamo grati del bene compiuto e grati di presentarne a Noi una così parlante rassegna; volentieri ringraziamo il Signore di così copiosi frutti del suo lavoro, volentieri facciamo voti affinché questo abbia ancora a prosperare ed a diffondersi, e volentieri sostiamo un istante in semplice riflessione sul valore, sul significato, sull’efficacia dell’opera che è a Noi presentata.
Veramente Noi preferiremmo ascoltare la vostra voce, che proferire la Nostra circa il merito dell’opera stessa, a voi notissima per conoscenza diretta e per esperienza vissuta. Ma pare a Noi che non sia presunzione se a vostro conforto, più che a vostra istruzione, vi esponiamo lo schema di idee, nel quale si colloca per Noi la vostra attività, globalmente considerata. Ecco: Ci sembra di dover identificare il punto focale di tale attività nell’intenzione apostolica di riportare Cristo nel cuore dell’uomo moderno; Ce lo dice una noticina, a Noi inviata dallo stesso protagonista sia della «Pro Civitate Christiana», che della Rivista; tutto è governato da una finalità cristologica e dalle prospettive del Concilio ecumenico, nella ricerca d’illustrare la viva presenza di Gesù Cristo nel Vangelo, nella Chiesa, nell’Eucaristia, e l’attualità del suo messaggio nella vita sociale, culturale, artistica del mondo contemporaneo. Cristo al centro. Sta bene. Non potremmo desiderare di meglio. Perché veramente Cristo è il centro, del mondo, della storia, della cultura, delle anime, dei destini umani, della salvezza. Tenete fisso questo centro, come ragion d’essere di tutta l’opera vostra, come unico amore che la ispira, unico premio che la ripaga, unica luce che la guida, unico segreto che la sostiene, unica gioia che la allieta.
Ma all’osservatore che guarda l’efficienza operativa del centro così stabilito sembrano profilarsi due momenti distinti, che definiscono tale efficienza e che sembrano caratterizzare il fenomeno religioso, che voi rappresentate. Il primo momento lo vorremmo qualificare dalla virtù di evocazione, che parte dal centro medesimo. Ci riferiamo ora piuttosto al metodo, che al contenuto della vostra attività apologetica e religiosa. Evocazione: che cosa vogliamo dire? Si fa oggi grande discorso sul come l’uomo moderno può accostarsi a Cristo; vi è chi tende ad adattare il messaggio della fede alla mentalità, ai gusti, alla sensibilità della gente d’oggi, fino ad alterare, talvolta, l’autenticità del messaggio stesso, e a confondere il «sensus fidei» con l’opinione corrente, e non sempre della comunità cristiana istruita e cosciente, ma del mondo qual è. Non giudicheremo le intenzioni d’una tale tendenza, che sono il più delle volte rettissime; ma domanderemo se la tendenza stessa, qualora non sia severamente controllata dalla dottrina insegnata dalla Chiesa, non possa avere come conseguenza di indebolire, e fors’anche di vanificare quel messaggio di verità salvatrice ch’essa pur mirava a portare. E vi è chi tende a presentare il messaggio come un atto di energia spirituale, che trova in se stesso i titoli della sua accettazione e che si pone con indiscutibile autorità: buona e doverosa tendenza anche questa, purché non trascuri di studiare le esigenze della comprensibilità della parola in cui il messaggio si esprime, esigenze che oggi, come si sa, sono enormemente cresciute, sia per la estraneità del mondo moderno al fatto religioso, sia per l’attitudine mentale, più matura, più razionale, della gente di oggi rispetto a quella di ieri. Che cosa ci presenta, fra queste tendenze, il metodo vostro? Dicevamo: l’evocazione.
L’evocazione cioè di quegli stimoli spirituali, di quei sedimenti religiosi, di quei residui cristiani, di quelle nostalgie d’una fede, di quelle interiori sensibilità, che pur sono, che pur rimangono e fermentano ed insorgono negli spiriti dei nostri contemporanei, siano o non siano rimasti fedeli ad un’osservanza cristiana. Sì: pur troppo molti figli del nostro tempo, per l’ambiente in cui vivono, per la mancanza di formazione cristiana, per il fascino del pensiero moderno, per timore d’uno sforzo intellettuale e morale, sono lontani dalla religione di Cristo; alcuni sono apatici, alcuni sono soddisfatti di certe loro piccole filosofie (quanti dicono: io ho le mie idee!) alcuni sono caduti nel dubbio sistematico, alcuni sono presi da ideologie di massa, e altri sono fieramente avversi ad ogni concezione religiosa e si sostengono con alcuni sforzi di logica e di volontà. Diagnosi immensa quella dello stato spirituale dell’uomo moderno di fronte alla fede cristiana. Ma è pur vero’ che tutti sono uomini, e perciò, «docibiles Dei» (Io. 6, 45), suscettibili cioè di ricevere la verità divina, capaci sempre di vibrare alla Parola della salvezza, e spesso, molto spesso custodi essi stessi di qualche segreta esperienza di qualche inesplicabile impulso, che per sé reclamerebbe di svolgersi, di esprimersi, di autenticarsi. Ed è a questa riserva, spesso inconsapevole e trascurata, di sentimento religioso e di affinità cristiana, che il nostro metodo ricorre, e cerca di tirar fuori, di evocare, quel frammento superstite di religiosità, di dare il gusto di ripensare dapprima, di profferire poi quel piccolo tesoro spirituale, con trepidazione, con timidezza al principio, ma con arcana compiacenza in seguito, con desiderio di sapere meglio e di più, di entrare attraverso il sentiero d’un processo soggettivo, talora informe e irregolare, nella pienezza e nella dignità della strada maestra della fede viva e vera.
Ed è questa la maniera, l’arte apostolica, che abbiamo vista applicata dal vostro esperimento per avvicinare gli uomini del nostro tempo a Cristo e alla Chiesa; metodo che ha chiamato tanta gente buona e silenziosa ad essere migliore e desiderosa di dar lode al Signore; gente profana, ignara di teologia, che ha ceduto all’invito ed ha sentito salire dal proprio spirito, evocata appunto da codesto metodo, una capacità, una voglia talora, di portare un proprio contributo; gente lontana, che stimolata ha narrato episodi meravigliosi del regno di Dio nascosto nei labirinti delle anime. Voi conoscete codeste conquiste, e non occorre che Noi ora le commentiamo; riconosciamo solamente in esse un risultato caratteristico dell’apostolato moderno, un sintomo consolante della perenne fecondità della dottrina cattolica, un segno promettente di futuro avvicinamento e di rigeneratrice penetrazione nella folla immensa e varia della società moderna.
E dopo questo contatto con Cristo, scoperto presente, quale altro momento succede, derivato dall’opera vostra? Dopo l’evocazione, e dopo la scoperta della centralità di Cristo, vediamo il secondo momento: la testimonianza. Il primo momento era di convergenza, il secondo è di diffusione. La testimonianza: dovere nascente dalla conoscenza della verità; impulso nativo dello Spirito del Signore; bisogno urgente della missione della Chiesa agli uomini; necessità implorante di questi stessi uomini fratelli, la testimonianza diventa l’impegno a cui oggi tutti siamo chiamati, diventa l’invito, la esortazione che Noi oggi rivolgiamo a voi, non solo a conclusione di queste Nostre frettolose parole, ma a coronamento altresì della commemorazione, che qui vi ha condotti, figli e amici e pellegrini.
Il Papa vi ringrazia della vostra venuta; vi è obbligato dell’attività svolta e promessa; vi dice il suo commosso apprezzamento per aver voluto recare a Lui la conferma dei vostri sentimenti e dei vostri propositi; ma finalmente vi esorta ad essere tutti e sempre «testes Christi», testimoni di Cristo, con la bontà della vita, con l’esempio, con la collaborazione all’attività apostolica della Chiesa, con l’amore appassionato per il nostro prossimo, con la gioia e l’onore d’essere, come San Paolo definisce gli apostoli, «gloria Christi», la gloria del Signore Gesù (2 Cor. 8, 23).
E con questo voto, con questa speranza, sia a voi tutti la Nostra Benedizione Apostolica.
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