DISCORSO DI PAOLO VI
AL SINDACO E AI MEMBRI
DELLA GIUNTA COMUNALE DI ROMA
Giovedì, 18 gennaio 1968
GRATITUDINE E VOTI CORDIALI
A Lei, Signor Sindaco, ed ai Membri della Giunta Comunale di Roma, qui presenti, il Nostro ringraziamento per questa visita, che, annuale nel suo ritmo ricorrente, è sempre una gradita novità per le degne persone che Ci consente di ricevere e di salutare, e per le vicende dell’Urbe, che di anno in anno tessono la sua storia e Ci fanno pensare non solo ai suoi problemi contingenti ed immediati, pur se tanto gravi e per molte ragioni anche per Noi vivamente interessanti, ma appunto alla sua storia, che subito s’ingigantisce davanti al Nostro sguardo e sempre solleva qualche lembo del velo che avvolge il suo misterioso destino. Grazie, diciamo, di questa visita, la cui prima novità, cordiale e felice, è l’investitura che la fiducia del Consiglio Comunale Le ha conferito di Sindaco della nostra Città, e che fa di Lei, Signor Sindaco, il degno successore del Dott. Petrucci, che Noi avemmo il piacere d’incontrare più e più volte, sempre tanto cortese e tanto consapevole del suo alto ufficio, in questi anni del Nostro Pontificato. Grazie dell’occasione che così Ci è offerta per esprimerle le Nostre felicitazioni ed i Nostri voti, e per accogliere fra quanti Ci sono rivolti particolarmente cari gli auguri che la Magistratura amministrativa dell’Urbe con tanta gentilezza e con tanta saggezza Ci offre, e per ricambiare i Nostri, vivissimi di quell’amore, che come cittadino di adozione e ora come Vescovo di Roma ed erede del suo Pontificato, Noi portiamo all’eterna Città.
Sì, Signor Sindaco; sì, o Signori, che lo accompagnate e condividete con lui l’onore e l’onere dell’Amministrazione cittadina; i Nostri voti per le vostre persone e per i vostri uffici sgorgano veramente dal cuore e sono pervasi da un complesso di sentimenti, a cui osiamo appena accennare, ma che Noi pensiamo da voi facilmente intuibili ed apprezzabili. Detta innanzi tutto questi voti un sentimento di grande rispetto, che confina con l’ammirazione: sapere che a voi spetta interpretare, tutelare e servire gli interessi d’una Città come Roma, Ci obbliga ad esprimervi la Nostra fiducia, la Nostra compiacenza e la Nostra comprensione per la dignità, per la grandezza, per la complessità, per la difficoltà, per l’utilità dell’ufficio che voi esercitate; sappiamo quanto la Città attende da voi, sappiamo quanto Noi stessi siamo moralmente interessati a codesta arte amministrativa; e Ci fa molto piacere ascoltare nelle parole testé pronunciate dal Signor Sindaco la voce dell’alta coscienza che guida e sostiene la vostra fatica.
COMPIACIMENTO E SPERANZE
Ed è questo un secondo sentimento ispiratore dei Nostri auguri, quello di godere della consapevolezza vostra nell’adempimento delle vostre funzioni. Il discorso del Signor Sindaco Ci rassicura circa l’intensità di attenzione, di studio, di lavoro, che impegna l’Amministrazione cittadina; avete gli occhi aperti, avete gli animi saldi, avete i propositi concordi, avete la volontà decisa verso la soluzione dei problemi propri d’una metropoli in fase di rapido ed incessante sviluppo; voi avete, come Roma coniata sulla medaglia dell’Imperatore Nerva, il timone nelle mani. Avete il senso dei vostri doveri. E sta bene. Come non dovrebbero sostenere i Nostri voti cotesto senso civico che vi qualifica veramente Romani e che risponde alle più imperiose esigenze della Città?
Ma questo dicendo, un nuovo sentimento subentra nel Nostro animo; un sentimento di trepidazione per la somma di abilità e di virtù, che tale senso del dovere civico reclama da voi. Sono i gravi e molteplici problemi, a cui siete impegnati, che Ci fanno trepidare per voi: problemi amministrativi (sappiamo di alcune cifre paurose dei vostri bilanci! ); problemi urbanistici (come fronteggiare l’espansione d’una Città così esigente per la dignità della sua storia e della sua arte, e così invasa da un flusso di popolazione di null’altro ricca che dei suoi bisogni e dei suoi diritti?); problemi sociali (Roma si trasforma nella sua composizione etnica, nelle sue forme d’attività, diventa industriale, diventa democratica e moderna; ha bisogno di scuole, di campi di lavoro, di assistenza sanitaria e sociale nuova, ecc.); problemi spirituali (come conservare a Roma il suo livello morale, come educarla a capire se stessa nella professione secolare e fatidica della sua fede religiosa?); problemi superiori e indefinibili (come nutrire in Roma il senso storico della sua cultura e della sua funzione civile nel mondo?). Enormi problemi, enormi doveri. Non abbiamo ragione di trepidare per voi e con voi?
PROPORZIONARE FORZE E TALENTO ALLA SOLUZIONE DI GRANDI PROBLEMI
Ma appunto per questa trepidazione i Nostri voti si fanno più intensi. Ed anche più fiduciosi. Perché si esprimono in due speranze, a cui Ci piace attribuire immancabile successo. La prima speranza è che voi abbiate un grande, un grandissimo amore per Roma, e che questo possegga la segreta virtù di abilitarvi a quei grandi doveri, a proporzionare le vostre forze, il vostro talento, la vostra ispirazione alla soluzione di quei grandi problemi. Non solo perché l’amore ingigantisce le forze, acuisce l’ingegno, convalida la resistenza, trova seguaci e sostegni; ma perché l’amore di Roma esercita uno speciale influsso corroborante su chi lo alimenta di studio e di servizio per questa misteriosa Città. Ci sia concesso, per brevità, esprimere questa Nostra opinione con il suffragio d’un uomo singolare, fascinato dall’incanto, che potremmo dire pedagogico, di Roma; è Goethe che scrive nel suo diario di viaggio in Italia: «A Roma, chi volga attorno uno sguardo pensoso deve diventare solido, deve farsi un’idea della solidità più vivente in lui che sia stata mai. Lo spirito riceve un’impronta vigorosa, arriva alla gravità senza essere arido, alla calma e alla gioia. In quanto a me, almeno, vedo che non ho mai giudicato con tanto equilibrio le cose di questo mondo» (10 novembre 1786). E poi: «Roma è, secondo me, la grande scuola per il mondo intero ed io stesso ne sono illuminato. Queste parole di Winckelmann rispondono esattamente al mio sistema di osservazione, e certamente non si può avere, fuori di Roma, alcun’idea dell’insegnamento che se ne ricava» (13 dicembre).
Voce di poeta, si dirà; e sia; ma sta il fatto che Roma infonde a chi ne coltiva l’amore forze spirituali originali e potenti, e non solo ieri, ma sempre.
La latinità possiede ricchezze umane incomparabili ed eterne. Non è forse per questa ragione, anche a prescindere dalla missione religiosa di Roma cristiana, che Roma si definisce la «Città eterna»? Sotto questo aspetto - sia detto di passaggio «sine ira et studio» - l’abolizione pratica dello studio della lingua latina nelle scuole secondarie sembra un’offesa a Roma ed un’autolesione della civiltà romana. Ma in ogni modo Noi crediamo che voi, custodi dei tesori antichi e fautori delle fortune nuove dell’Urbe, non siate solo amministratori burocratici ed empirici di questa unica Città, ma ammiratori, ma cultori, ma amatori, e che perciò voi sappiate trovare nel compimento del vostro arduo ufficio energie pari alle dimensioni, di per sé piuttosto scoraggianti, dei suoi bisogni.
IL DISEGNO DIVINO SULLA CITTÀ ETERNA
E l’altra speranza, di ben diversa natura dalla prima, si fonda sul fatto che sul destino di Roma riposa un disegno divino, per la scelta che la Provvidenza ha fatto di questa Città come centro della cattolicità. Voi lo sapete; basti l’avervi accennato. Ma la conclusione è questa: non può mancare a Roma, solo che lo voglia, solo che non lo respinga, il concorso trascendente e, alla fine, vittorioso di tante difficoltà, della divina assistenza. Ci piace rilevare, a questo riguardo, da alcuni fatti significativi - com’è quello da Noi tanto apprezzato del favore prestato dal Comune affinché ogni nuovo centro urbano abbia il suo centro religioso, la sua parrocchia -, e dalle autorevoli parole ora proferite dal Signor Sindaco, che voi- siete coscienti di questo fatto e con opere degne date di ciò nobile testimonianza, senza che ciò dia luogo ad equivoci temporalisti e . . . «clericali». Mantenere a Roma il suo carattere coerente e moderno di Città cattolica, quando questo carattere trova chiaro suffragio nella storia e nello spirito del Popolo Romano, è uno dei vostri doveri; uno di quei doveri che darà, proprio per il suo compimento, energie incalcolabili all’Urbe, e ne favorirà sicuramente, con la «dignitas» che piaceva al Petrarca, la prosperità e la cultura che piacciono agli uomini del nostro tempo.
Ecco la Nostra speranza; ecco, per l’anno nuovo e per quelli venturi, il Nostro voto.
AFFETTUOSO PENSIERO AI SINISTRATI DELLA SICILIA
E qui ha fine il Nostro piccolo discorso. Ma un’appendice oggi gli è dovuta; una mesta, un’amara appendice, la menzione cioè della sciagura toccata, col terremoto, ad una regione che con Roma ha avuto fin dalla remota antichità rapporti molto stretti ed importanti: la Sicilia era, dicono, il granaio di Roma, e non solo di pane materiale. Non potremmo celebrare quest’ora lieta di vicendevoli auguri senza mandare un pensiero di affezione e di solidarietà all’Isola straziata, auspicando che la terribile prova tellurica abbia subito fine e che essa abbia in una nuova e migliore prosperità il suo epilogo desiderato.
Così che la Benedizione, che Noi ora a voi diamo, vuole estendersi dal Popolo di Roma a quello della Sicilia, e vuole auspicare pace e benessere per il mondo intero.
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