DISCORSO DI PAOLO VI
AI COLTIVATORI DIRETTI
Mercoledì, 16 aprile 1969
Diletti figli!
Siamo ben lieti di incontrarci nuovamente con voi, che in così grande numero siete venuti a Roma, come tutti gli anni, dalle varie Regioni italiane, in occasione del XXI Congresso Nazionale della vostra Confederazione, per studiare i problemi gravi ed urgenti che riguardano il vostro settore.
La Nostra letizia e la Nostra compiacenza sono motivate dalla circostanza di trovarCi insieme con quei lavoratori che con la loro intelligenza, con la loro tenacia e con il loro sacrificio rappresentano una ineliminabile componente per lo sviluppo della società.
Mentre salutiamo tutti i presenti, e con voi il benemerito Presidente, on. Paolo Bonomi, e Monsignor Consigliere Ecclesiastico, come pure i 300 sindaci dei comuni montani d’Italia, vorremmo dirvi, in questa festosa occasione, che siamo anche Noi, in qualche misura, informati dei grandi problemi che angustiano oggi il mondo agricolo.
Voi ben sapete, diletti figli, perché forse lo state sperimentando personalmente, come, con i moderni sviluppi dell’industria, il mondo della civiltà a struttura agricola, che per secoli è stato elemento fondamentale della storia economica dei popoli, sia entrato da tempo in crisi.
Mentre ancora in certe zone, per particolari circostanze, anche fisiche, nonostante il duro e continuo lavoro, la terra è avara e povera di prodotti, in altre invece, i progressi tecnici, le migliori condizioni climatiche, la fertilità della terra hanno aumentato, è vero, la produzione; ma giacché questa sorpassa talvolta la capacità di consumo e di esportazione, viene dal produttore o venduta a sottocosto o addirittura distrutta, sia al fine di sostenere i prezzi sia per un gesto di protesta contro la società, accusata in tal modo di essere incapace di trovare soluzioni confacenti e tempestive.
PERICOLI DELL’ESODO DALLE CAMPAGNE
Vorremmo ricordare anche un altro grave problema, che ha posto in allarme gli economisti e gli uomini preposti alla cosa pubblica, occasionato dalla industrializzazione moderna, e cioè il generalizzarsi dell’esodo dalla campagna.
Tutti conosciamo, e dobbiamo prenderne atto, la durezza e i sacrifici inerenti alla vita del contadino, il cui lavoro spesso non ha ore di riposo né giorni di vacanza, condizionato com’è dalle alterne vicende atmosferiche, come pure dalla continua e necessaria cura della terra, per seguirne le fasi delicate della crescita dei prodotti fino alla piena maturazione e al raccolto. In questa situazione di continua incertezza è facile per il coltivatore la tentazione di lasciare i propri campi, di rompere l’attaccamento atavico ad essi, per cercare nei centri urbani posti di lavoro, capaci di dare maggiore sicurezza economica e garanzia di sistemazione per il futuro: e questo è tanto maggiormente sentito dalle giovani generazioni.
Ma l’esodo, come documenta l’esperienza, se riesce a risolvere il problema di singoli individui o famiglie, può aggravare, per altri aspetti, non meno importanti, la situazione di una nazione, nelle sue dimensioni non solo economiche, ma anche umane, psicologiche, morali e religiose. Il problema - Ci è stato fatto presente con viva preoccupazione - è diventato in questi ultimi anni allarmante anche per le regioni montane.
E così avviene che l’industria, la quale potrebbe e dovrebbe con le sue capacità tecniche e con le sue recenti scoperte, integrare l’agricoltura, quasi la soppianta, invece di aiutare il contadino e rendere meno pesante e meno incerto il suo quotidiano lavoro.
SERENITÀ E SICUREZZA PER GLI AGRICOLTORI
Questo quadro della situazione, che voi ben conoscete e che state approfondendo in questi giorni, è presente oggi alla considerazione di esperti economisti; e sappiamo che non solo in campo nazionale, ma anche internazionale, si stanno studiando e dibattendo nuovi ed urgenti orientamenti sociali ed economici, che possano garantire ai lavoratori della terra una serenità ed una sicurezza, a cui essi hanno il pieno diritto.
Dovranno senz’altro migliorare le condizioni dei lavoratori. E Noi vorremmo oggi, ancora una volta, ricordare il pressante appello del Concilio Vaticano II, il quale, ben consapevole di questi problemi, rifacendosi all’insegnamento autorevole degli ultimi Sommi Pontefici e specialmente della Mater et Magistra del Nostro Predecessore, Giovanni XXIII di v. m. (cfr. A.A.S. 53, 1961, p. 431 ss.), così si è espresso: «In molte zone, tenendo presenti le particolari difficoltà del settore agricolo quanto alla produzione e alla vendita dei beni, gli addetti all’agricoltura vanno sostenuti, per aumentare la produzione e favorire la vendita, nonché per la realizzazione delle necessarie trasformazioni e mutamenti di metodo, affinché essi non rimangano, come spesso avviene, in condizioni sociali di inferiorità» (Cost. past. Gaudium et spes, 66).
UNA PROFESSIONE CHE OFFRE IL PANE AGLI UOMINI
Ricordate, figli dilettissimi, che la vostra è e rimane una professione, anzitutto, necessaria, perché offre a voi e agli altri, fratelli della comunità sociale, il cibo indispensabile alla vita. La vostra è una professione umana, nobile, degna, perché vi fa vivere vicini, a contatto diretto e continuo con la natura, creazione divina, e vi impone una forma di vita e di lavoro, in cui la vostra opera di uomini si intreccia mirabilmente con quella della stessa natura. Essa esige quindi da voi una certa moralità e spiritualità: il senso profondo della famiglia, unita nel lavoro e attorno al focolare; il senso intimo di una religiosità vissuta, che alla vostra opera dia la serena coscienza di rispondere all’invito e all’ordine divino (cfr. Gen. 1, 29; 3, 17-19); il senso infine della solidarietà con gli altri, in uno scambio continuo di aiuto reciproco, il quale non obbedisce solo a semplici leggi economiche, ma soprattutto alla legge dell’umana e cristiana collaborazione.
La vostra è inoltre una professione in via di perfezionamento. Si approntano infatti nuovi metodi di produzione, si studia il coordinamento tra agricoltura e industria, per superarne lo squilibrio e l’opposizione, si cerca la possibilità dei mercati sul piano non solo nazionale e continentale, ma internazionale.
FEDE IN GESÙ E NELLA CHIESA
Siamo informati della esistenza di lodevoli iniziative che tendono a una cultura e a una preparazione del vostro settore, specie giovanile, con un elevato numero di corsi annuali, capaci di portare nelle campagne il valore e il compito della preparazione professionale, iniziative che cercano non solo di dare la necessaria conoscenza di base, ma una vera preparazione specifica. Per questo invitiamo tutti, e i giovani in particolare, a servirsi di questi mezzi; «gli stessi lavoratori dell’agricoltura - ha detto il Concilio Vaticano II - e soprattutto i giovani si impegnino con amore a migliorare la loro competenza professionale, senza la quale non si può dare sviluppo all’agricoltura» (Cost. past. Gaudium et spes, 66).
Il Nostro augurio, figli dilettissimi, è che abbiate sempre fiducia nella vostra professione, fiducia, in altre parole, nell’amore di Dio che ha creato la terra per il nutrimento dei suoi figli. Siate pertanto sempre uniti. La vostra Associazione merita l’adesione di tutti i coltivatori diretti e un più ampio sviluppo, perché aiuta a formare il «tipo» moderno dell’agricoltore, aperto ai vari problemi della società in cui vive e cosciente dell’apporto che egli le può offrire.
Ma specialmente, come Padre comune, vorremmo darvi un impegno cristiano: conservate i valori morali e religiosi, propri della campagna, di un Paese cattolico; quei valori così amorevolmente e gelosamente conservati e tramandati dai vostri padri, quali sono l’onestà, la temperanza, la giustizia, ma specialmente la fede in Dio, che così paternamente ci sorregge e provvede, la fede in Gesù, che lavorò con le sue mani e che dalla vostra antica e nobile professione prese lo spunto, in tante parabole, per insegnarci le eterne verità del Regno di Dio; la fede nella Chiesa, che maternamente apprezza ed esalta la vostra insostituibile opera.
Con questi voti, di cuore, vi impartiamo, propiziatrice di grazia e di celesti favori, la Nostra Apostolica Benedizione, che estendiamo altresì alle vostre famiglie e alla vostra Confederazione.
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