DISCORSO DI PAOLO VI
AI PARTECIPANTI ALLA IX ASSEMBLEA DELLA
CONFERENZA ITALIANA DEI SUPERIORI MAGGIORI
Giovedì, 13 novembre 1969
Carissimi e venerati Superiori Maggiori,
La vostra presenza, così numerosa e suggestiva, rinnova al Nostro cuore l’intensa gioia dell’incontro con voi avuto, in un’analoga circostanza, il 18 novembre del 1966, ripone sulle Nostre labbra il saluto affettuoso per ciascuno di voi e per ciascuna delle vostre Famiglie Religiose, e richiama alla Nostra memoria, più vivido e commovente, il significato, il ruolo, l’impegno che voi e i vostri confratelli rappresentate nella Santa Chiesa di Dio. Siamo perciò lietissimi di dedicarvi, questa mattina, un poco del Nostro tempo, purtroppo f così scarso, per dirvi la Nostra compiacenza e la Nostra speranza, per incoraggiarvi nella fedeltà alla vostra vita consacrata alla gloria di Dio e alla santificazione delle anime, e per confortarvi nella contemplazione degli scopi precipui che la vostra attività si prefigge per l’edificazione del Corpo di Cristo, nella carità (cfr. Ephes. 4, 12, 16).
La carità! Non è forse questo il fine della vita religiosa, il suo costante esercizio, il suo segno verace, il suo culmine beatificante? Non è forse questa la vostra qualificazione, il vostro sforzo continuo, la vostra aspirazione più profonda? La carità è il vostro bene, vorremmo ripetervi con San Giovanni Crisostomo: Bonum enim vestrum est dilectio, fraternus amor, coniunctio et colligatio, vita in pace et mansuetudine acta (In ep. ad Rom., hom. XXVI, 17; MG 60, 638). La carità è lo scopo della vostra vita crocifissa, e nascosta con Cristo in Dio, e fa di tutta la magnifica gamma delle vostre famiglie religiose, qui da voi così degnamente e autorevolmente rappresentate, il tesoro più prezioso, che le fa sorgere come da un’unica matrice e le unifica in un’unica impronta, pur nella diversità delle condizioni storiche, religiose, psicologiche in cui esse sono nate. La carità pertanto vi deputa al servizio della Chiesa: lo ha sottolineato il Concilio, quando ha detto che «siccome i consigli evangelici, per mezzo della carità alla quale conducono (cfr. S. THOM., Summa Theol. II-II, 184, a. 3 e q. 188, a. 2), congiungono in modo speciale i loro seguaci alla Chiesa e al suo mistero, la loro vita spirituale deve pure essere consacrata al bene di tutta la Chiesa. Di qui deriva il dovere di lavorare, secondo le forze e la forma della propria vocazione, sia con la preghiera, sia anche con l’opera attiva, a radicare e a consolidare negli animi il Regno di Cristo» (Lumen Gentium, 44).
TESTIMONIANZA D’AMORE
Per questo abbiamo visto con grande soddisfazione che avete dedicato la vostra annuale Assemblea Generale a questo importantissimo tema: «I Religiosi e l’attività caritativa della Chiesa»: argomento vasto e impegnativo, tanto perché richiede l’approfondimento delle sue giustificazioni teologiche, che investono l’essenza stessa della Chiesa, «la quale da Cristo è stata inviata a rivelare e a comunicare la carità di Dio a tutti gli uomini e a tutti i popoli» (Ad gentes, 10), tanto perché tale attività caritativa, come in un corpo perfettamente compaginato, si espande in una ramificazione capillare che raggiunge tutte le membra, esige capacità organizzative, e si traduce in efficienti realizzazioni pratiche.
E a questo punto non possiamo non aprire lo sguardo sulle magnifiche opere, che si reggono nella Chiesa soprattutto per merito e sacrificio dell’attività benemerita, zelantissima insostituibile della grande schiera delle Famiglie Religiose, in tutto il mondo: grazie, vi diciamo, grazie, per tutto quanto sapete compiere in questo campo, con la collaborazione dei vostri Confratelli! Grazie per le scuole, per .gli istituti di formazione professionale, per le opere in favore dell’infanzia e della gioventù bisognosa, che trova come una nuova famiglia e la possibilità di inserirsi onoratamente nella vita civile; grazie per gli ospedali, per le cliniche, per le case di riposo per le persone anziane e sofferenti, ove attraverso al corpo che soffre o che declina si giunge indirettamente all’anima, a cui è offerto il conforto vero e duraturo; grazie per le provvidenze che tendono a sanare le ferite più dolorose e nascoste, che la odierna società del benessere vorrebbe ignorare e non può, ma pur dimentica, come vergognandosene, e, addirittura, respinge ai suoi margini: la cura di chi è irrimediabilmente tarato nel fisico, e non troverebbe altrove rifugio, comprensione e amore; il recupero di tanta adolescenza subnormale; l’assistenza a quanti sono passati attraverso l’esperienza mortificante della colpa e della espiazione, per farne persone nuovamente fiduciose nella vita e nell’umanità. Non finiremmo più di elencare quanto voi fate, nel silenzio e nell’ombra, ciascuno secondo la natura specifica della propria Congregazione o del proprio istituto, con la preghiera e con l’azione. Di tutto questo vi ricompenserà Iddio nell’ultimo giorno.
In ciascuna di tali opere voi date una testimonianza d’amore alla Chiesa; voi ricordate al mondo che tutta la sofferenza, tutto il bisogno, tutta la miseria umana hanno trovato e trovano nella Chiesa stessa riparo e consolazione, nelle sue varie istituzioni, che ne adornano la storia più segreta, giù giù per i secoli, fino a Pietro e agli undici, quando vollero associare all’opera di carità della Chiesa quei sette uomini, «pieni di Spirito Santo e di saggezza» (cfr. Act. 6, 1-6), ai quali affidarono il servizio degli orfani e delle vedove; ma quella carità non era altro, e non fu altro mai se non la continuazione e l’irraggiamento della carità di Cristo, il quale era rimasto scolpito nel cuore del suo Vicario e degli Apostoli come colui che era «passato beneficando e risanando ognuno» (cfr. Act. 10, 38), perché tutta la sua vita di Rivelatore del Padre e di Redentore era stata strettamente e continuamente intrecciata con l’amore effettivo ed efficace per gli uomini. E il suo comandamento, lasciato agli Apostoli nella Cena pasquale suggellata dall’Eucaristia, era stato quello dell’amore fraterno, il comando nuovo, attraverso cui gli uomini avrebbero dovuto riconoscere come la carta d’identità dei suoi discepoli, in tutti i tempi (cfr. Io. 13, 34-35).
GIUSTIZIA E CARITÀ
Fedele a questo mandato, la Chiesa ha esercitato nei secoli la sua attività caritativa: interpretando i segni dei tempi, offrendo continuamente le sue concrete risposte alle esigenze degli uomini, modificando le strutture invecchiate, rinnovando le forme, ma sempre ispirandosi a quell’unico e nuovo ed eterno comandamento, ricevuto dal Signore come il suo testamento.
Oggi una più accentuata sensibilità pone in discussione, sia pure marginalmente per ora, talune di queste forme assistenziali, sottolineando la prevalenza del dovere di giustizia su quello della carità, e chiedendo che sia salvaguardato al massimo il sacro carattere della dignità umana: questo accresciuto senso di gelosa autonomia richiederà certamente un continuo controllo sui criteri da seguire dai vostri Istituti nel compimento delle loro attività caritative di assistenza e di beneficenza; esigerà senza dubbio una sempre più aggiornata qualificazione personale e un opportuno adeguamento delle strutture alle nuove responsabilità, affinché tale missione sia adempiuta con frutto; bisognerà assolutamente lasciare quelle forme che sanno di imposizione, di paternalismo, come di improvvisazione, di leggerezza, di impreparazione. Ma questa attività caritativa richiama, d’altro canto, vigorosamente alla coscienza dei contemporanei - non con le parole, di cui la vera carità va schiva, ma con i fatti, col comportamento, e col garbo accattivante e gentile che fiorisce dalla profonda e sincera carità dell’animo - richiama come la Chiesa, nell’esercizio della carità, non ha mai nemmeno pensato ad avvilire, a deprimere l’uomo, perché, sull’esempio del suo Fondatore, essa rispetta ed eleva l’uomo, anche e soprattutto quand’esso è nel bisogno più umiliante, vedendo in lui il fratello e l’amico, colui che porta nella sua finitezza di creatura e la dignità incommensurabile dell’immagine e somiglianza di Dio, e lo stigma rovente della carità di Cristo, che lo ha redento con l’atto più alto di amore (cfr. Io. 15, 13; 10, 13, 15) che in terra si possa immaginare, dando per lui la vita sulla Croce. Come bene ha detto il Concilio, «il Verbo di Dio ci rivela che “Dio è carità” (1 Io. 4, 8) e insieme ci insegna che la legge fondamentale della umana perfezione, e perciò anche della trasformazione del mondo, è il nuovo comandamento della carità. Coloro pertanto, che credono alla carità divina, sono da Lui resi certi che la strada della carità è aperta a tutti gli uomini e che gli sforzi intesi a realizzare la carità universale non sono vani» (Cost. past. Gaudium et spes, 38).
COORDINAMENTO DELLE FORZE
Per questo, la carità nella Chiesa tende ad avvalorare l’uomo, a rispettarlo, a dargli coscienza della sua grandezza: non lo umilia, ma lo esalta, non lo narcotizza, ma lo risveglia al senso della sua dignità, non lo disprezza, mai - e come potrebbe? - ma lo stima e lo ama, si china verso di lui, lo abbraccia e gli trasfonde quasi il proprio cuore, come Gesù che lavò i piedi degli Apostoli, come i santi che seppero abbracciare i lebbrosi e gli infermi. La carità si situa luminosamente nel ruolo, a cui la Chiesa è chiamata, di portare l’uomo al suo pieno sviluppo, ruolo che i Nostri recenti Predecessori e Noi stessi abbiamo più e più volte ribadito, e a cui ha fatto eco la voce possente del Concilio.
Noi vorremmo pertanto che la collaborazione che voi prestate con tanto impegno di volontà e impiego di mezzi all’opera caritativa della Chiesa fosse sempre rispondente a queste inderogabili caratteristiche: vi sarà bisogno di coalizzare le forze, perché, oggi soprattutto, i tentativi isolati, anche più lodevoli, non sono purtroppo efficaci; vi sarà bisogno di comunicare le esperienze, di unificare opere ed iniziative analoghe o pleonastiche, di seguire piani precisi, offrendo piena adesione e collaborazione alle iniziative della vostra Conferenza, che si sforza di dare direttive sicure e uniformi, d’indole sia spirituale che professionale, affinché l’azione assistenziale riesca veramente fruttuosa e appropriata in seno a una società sempre più secolarizzata; bisognerà inoltre seguire volonterosamente le disposizioni dei singoli Ordinari, affinché sia evitata la dispersione e l’inutilità: ed infatti spetta ai Vescovi sostenere e vigilare i Religiosi in questa amplissima e delicata attività; così pure ci si dovrà scrupolosamente ed esemplarmente attenere alle disposizioni dell’autorità civile per quanto riguarda l’esecuzione delle leggi vigenti. Ma tutto questo, se fedelmente attuato, non farà che offrire alla società e alla Chiesa, nel suo vero aspetto, una fondamentale e sublime immagine della vera essenza della vita religiosa, cioè di quella carità che, come dicevamo in principio, è il bonum vestrum, la vostra vocazione, la vostra qualifica, la sintesi dei consigli evangelici, la somma delle vostre aspirazioni all’unione con Dio e alla santità.
SPIRITO DI POVERTÀ
Ecco, dilettissimi Superiori Maggiori, quanto abbiamo voluto presentare alla vostra meditazione in questo breve, ma tonificante incontro: se una parola Ci è lecito aggiungere, come coronamento di tutte le Nostre odierne esortazioni, vorremmo raccomandare a tutti - proprio per quell’accresciuta esigenza di cui abbiamo parlato - l’amore alla povertà: che tutte le opere, che nascono dalle vostre famiglie ne portino il segno visibile: nulla, è vero, sia risparmiato di quanto è necessario per il pieno funzionamento delle varie attività caritative, affinché esse siano rispondenti alle esigenze di funzionalità, di ordine, di efficienza, di igiene, ecc., oggi richieste; ma nulla tuttavia si ostenti, sia pure inconsciamente, anche sotto i più nobili pretesti, che possa velare agli occhi del mondo l’immagine di Cristo, nato povero per noi, benché fosse ricco, affinché noi fossimo arricchiti dalla sua indigenza (cfr. 2 Cor. 8, 9); nulla faccia dimenticare che la Chiesa è dei poveri sia nello spirito di distacco sia nella realtà cruda della penuria e della sofferenza; in tal modo tali opere conseguiranno veramente il loro pieno frutto e, soprattutto, saranno largamente benedette da Dio, nel cui Nome sono compiute.
Di questa compiacenza divina vuole essere pegno e auspicio la Nostra Benedizione Apostolica, che di gran cuore impartiamo a voi, e a tutti i vostri diletti confratelli, «i cui nomi sono scritti nel libro della vita» per la loro piena donazione a Cristo e agli uomini, nella carità.
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