DISCORSO DEL SANTO PADRE PAOLO VI
AGLI OSPEDALIERI DI MILANO
Sabato, 21 marzo 1970
Questa udienza composita, fuori del ritmo ordinario delle Udienze generali, ci porta la visita di gruppi speciali, che accogliamo molto volentieri, e che ci sentiamo obbligati a salutare in modo particolare.
Salutiamo il gruppo più numeroso, guidato dal caro e venerato Mons. Teresio Ferraroni, Vescovo Ausiliare del Cardinale Arcivescovo di Milano; il gruppo, che rievoca in Noi il sempre commovente ricordo degli incontri, che con le varie associazioni, in esso rappresentate, Noi avemmo negli anni del Nostro ministero pastorale a Milano; vogliamo dire quello del «Pellegrinaggio degli Ospedalieri Milanesi», promosso dall’«Unione Cattolica Infermieri» e dalle Associazioni interne ospedaliere della Gioventù Femminile di Azione Cattolica e dalle ACLI. Abbiamo così la felice occasione di rivedere, sia pure nella sua presente composizione, alcune file d’un movimento associativo meritevolissimo, che appunto a Milano e nell’arcidiocesi liberamente collega ed assiste coloro che prestano servizio nei numerosi e grandi Istituti sanitari della metropoli ambrosiana, primo fra essi per storia, per ampiezza, per organizzazione e strutture quello da Noi tante volte visitato, l’ospedale Maggiore, l’antica «Cà granda», ora trasferito a Niguarda; a livello del quale ci tornano alla memoria altri parimente rinomati, come l’Ospedale Fate-bene-Fratelli Ciceri Agnesi, il Policlinico, gli Istituti di Perfezionamento, l’Istituto Ortopedico Pini e quello Traumatologico, l’Ospedale dei Bambini, la Casa di cura S. Giuseppe, e molte altre Case di cura e Ospedali, ultimo dei quali, in ordine di tempo, il modernissimo S. Carlo, di cui non potemmo vedere l’edificio, ma auspicammo la costruzione.
La vostra presenza, cari Ospedalieri Milanesi, solleva nel Nostro spirito la visione dell’immenso quadro delle innumerevoli istituzioni sanitarie milanesi; e vogliamo, anche in questa occasione, tributare a quanti le promuovono e vi presiedono, a tutto il Corpo dei Medici, a tutti gli Assistenti, a tutti gli Infermieri e Infermiere, a tutte le buone e valorose Suore, a tutti gli Addetti ai vari servizi, a tutti i Benefattori e, naturalmente, a tutti i Cappellani, dei quali qui vediamo una degna rappresentanza, il Nostro elogio, il Nostro incoraggiamento, il Nostro saluto. A tutti i Malati e gli assistiti, in modo speciale; sempre con il voto per la loro salute fisica, per la loro cristiana pazienza, per il loro spirituale conforto.
A voi, cari visitatori, dobbiamo poi una parola di encomio e di incitamento. Voi esercitate un’attività molto delicata, molto impegnativa, molto preziosa. Certamente voi avrete cercato di approfondire la coscienza del vostro lavoro, per scoprirvi ciò che lo rende indispensabile nella società, ciò che lo colloca fra i più meritevoli servizi specificamente umani, ciò che lo rende degno della riconoscenza sia dei malati, da voi assistiti, sia di quanti li hanno cari. Noi vorremmo esortarvi ad avere sempre questo grande concetto del vostro servizio, e a compierlo sempre con grande precisione e con grande finezza di modi e di sentimenti. E, aggiungiamo, con quello spirito, con quella virtù, che noi chiamiamo carità, e che conferisce all’opera vostra un’intelligenza, un fervore, un merito trasfiguranti. Voi assistete il dolore. Potrebbe un giorno non farvi più alcuna impressione; a tutto ci si abitua.
Potrebbe un giorno venirvi a noia: la sofferenza altrui non offre, alla fine, alcuna personale soddisfazione. Potrebbe esso ancora sembrare placato dalla cura scientifica e tecnica, senza altro richiedere. Voi assistete il dolore umano: nulla è più rivelatore, nulla è più degno, nulla più sacro nel piano naturale della vita. Provate ad amarlo! oh! Certo voi già lo amate, e già sperimentate le stupende conseguenze, oggettive e soggettive, d’un tale rapporto fra chi soffre e chi lo assiste. Ma amarlo perché? tanti sono i perché, che persuadono ad amare ed a servire chi soffre; ma uno tutti li supera e tutti li sostiene: amarlo dobbiamo perché nel paziente è l’immagine, è la mistica presenza di Cristo. Non dimentichiamo mai la sua sorprendente parola: «In verità vi dico che tutte le volte che avete fatto qualche cosa a uno dei minimi tra i miei fratelli, l’avete fatta a me» (Matth. 25, 40). Chi soffre è chiamato fratello da Cristo; anzi è identificato a Lui stesso! Ecco: l’incitamento non è più Nostro; è di quel Gesù che ci ha voluto suo rappresentante, eco della sua parola, strumento del suo perenne ministero nell’umanità. Ricordatelo: amate il dolore, che la vostra professione e la vostra vocazione vi dà occasione di assistere, curare e di servire.
E infine dobbiamo a voi una parola di ringraziamento, cari visitatori milanesi: per questo incontro, per la vostra affettuosa devozione, per il dono che voi ci offrite per onorare il sacerdozio, di cui il Signore ci ha insignito. Grazie, grazie di cuore. E valga ad esprimervi la Nostra gratitudine ed a confermare i vostri ottimi sentimenti la Nostra Apostolica Benedizione.
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