DISCORSO DEL SANTO PADRE PAOLO VI
AD UN IMPONENTE PELLEGRINAGGIO AMBROSIANO
Martedì, 3 novembre 1970
Signor Cardinale, Venerati Fratelli nell’Episcopato, Autorità civili e militari, Amatissimi sacerdoti e fedeli di Milano, Prelati della Curia Arcivescovile e del Capitolo metropolitano e ambrosiano!
Siamo davvero lieti di porgervi il Nostro fervido saluto in occasione di cotesto splendido e così numeroso pellegrinaggio ambrosiano, e dirvi il Nostro ringraziamento per il pensiero che avete avuto di ritornare da Noi, in una circostanza per Noi tanto significativa. La Nostra presenza ci procura sincera commozione e consolazione vivissima, portando i Nostri pensieri e i Nostri ricordi agli anni, in cui fummo in mezzo a voi, come Pastore e Padre, venuti nel Nome del Signore, pur nella consapevolezza delle Nostre povere forze, per guidarvi nelle vie della fede e della grazia. Vi abbiamo amati dal profondo del cuore, «in visceribus Iesu Christi» (Phil. 1, 8), come volemmo dire fin dal Nostro primo radiomessaggio pontificio (22 giugno 1963; Insegnamenti di Paolo VI, I (1963), p. 8); e ci conforta tanto il ripeterlo, e assicurarvi altresì che quell’affezione rimane tuttora: intatta, piena, sincera, paterna, sollecita del bene di ciascuno di voi; è un sentimento fatto di intima comunione spirituale, che si nutre di profonda stima per voi, e che non potrà venir meno, mai.
E come potrebbe, del resto? Ci sentiamo troppo legati, tuttora, alla vostra insigne arcidiocesi!
Anzitutto per la conoscenza che, per grazia di Dio, abbiamo potuto fare, in quel breve ma intenso periodo, della Chiesa milanese: nella sua storia gloriosa, nelle sue Istituzioni tanto numerose ed efficienti in tutti i campi, nelle virtù del suo Clero, sempre zelante, attivo, pastoralmente aggiornato, e nelle doti del suo Popolo, tanto belle quanto proverbiali per la bontà del cuore, per la pronta generosità, per il talento organizzativo, per la rettitudine e onestà dell’animo e dei costumi, per la sanità della vita familiare. Un quadro immenso e stupendo si è dispiegato davanti ai Nostri occhi, fin da quell’indimenticabile 6 gennaio del 1955, e non se ne è cancellato più.
In secondo luogo, ci sentiamo tuttora affezionati a Milano per le amicizie, che colà abbiamo stretto con tanti rappresentanti, così degni, così ardenti, così esemplari del Clero, dei Religiosi e delle Religiose, del Laicato cattolico, della pulsante vita cittadina in tutte le sue espressioni professionali, culturali, industriali, organizzative, come, del resto, con tutti i ceti, in generale, della sua industre popolazione, sia nella metropoli lombarda come nelle varie parrocchie della vasta arcidiocesi. Dappertutto abbiamo trovato sempre cordialità e collaborazione, comprensione e rispetto, in un crescendo armonioso che ebbe il suo simbolo più significativo e come il suo culmine negli incontri, tuttora e sempre per Noi indimenticati, avvenuti per la preparazione e la celebrazione della Missione Cittadina; dappertutto conoscemmo persone leali e generose, che ci furono di aiuto prezioso per l’esercizio del Nostro ministero pastorale.
L’ARCIDIOCESI DI MILANO NELLA STORIA DELLA CHIESA
Ma soprattutto continuiamo a nutrire una intima unione con voi per l’esperienza pastorale che ci fu dato di fare nella vostra arcidiocesi, ove ci chiamava la Volontà di Dio, a continuare sulle orme grandiose dei due grandi Pastori che vi sedettero, lasciando nella storia non solo di Milano, ma della Chiesa intera un’eredità di esempi difficilmente eguagliabile, e non più superata: Sant’Ambrogio e San Carlo. Nel primo, campione invitto della fede nicena, strenuo difensore della libertà della Chiesa contro l’ingerenza dello Stato, fermo vindice dell’ortodossia quanto trepido e tenerissimo padre di tutti, anche degli erranti, Noi cercammo sempre il modello, l’ispiratore, l’incitamento per la Nostra, tanto più modesta, azione pastorale: in lui vedemmo il saggio maestro e pastore, il quale seppe attingere a piene mani dalla Scrittura i temi inesauribili della sua predicazione, che incantava i semplici, ma anche i dotti raffinati come un Agostino, e i politici come un Graziano e un Teodosio; vedemmo il sapiente animatore della santità del suo clero, che egli volle educato, pio, umile, dotto, amante dei poveri, secondo le grandi consegne – che andrebbero meditate di nuovo a fondo - da lui affidate alla precettistica amabile e severa del suo classico De Officiis ministrorum; vedemmo il soave e irresistibile predicatore della verginità consacrata; e il fermo assertore della morale coniugale, della castità della vita, dell’onestà della condotta pubblica e privata, del buon uso della ricchezza a favore dei poveri; vedemmo in lui il mistico della Chiesa, di questa vergine e madre che, a immagine di Maria Santissima, «è senza macchia, ma anche sposa: ci ha concepiti verginalmente nello Spirito, e verginalmente ci dà alla luce senza un lamento» (Exp. in Luc. 11, 7).
Guardando a Lui con l’animo di tutti i pastori che si succedettero sulla sua Cattedra, vedemmo in Lui incarnata la figura del Vescovo ideale, come già la vide Sant’Agostino, tratteggiandola con quella splendida definizione : «Consideravo Ambrogio un uomo felice agli occhi della gente, onorato come era da personalità tanto in vista . . . Non ero invece in grado di sapere, né potevo sperimentare di che sorta di speranza fosse portatore, che lotta fosse chiamato a sostenere contro le tentazioni della sua elevata posizione, quale conforto trovasse nelle avversità e quali gioie saporose gustasse il suo cuore, masticando in silenzio il pane delle Tua parola» (S. AUG., Conf., VI, 3, 3).
E accanto a Lui, a Nostra ispirazione e a Nostra umile e trepida confusione, la grandissima figura dell’altro campione della Chiesa, e di tutta un’epoca altrettanto significativa: San Carlo Borromeo, il quale - come Ambrogio era stato «chiamato all’episcopato dalle contese delle liti forensi e dal rigore della pubblica amministrazione» (De Paen., 11, 67; cfr. 72) - così divenne, da grande del 500, di un secolo fastoso e mondano, Pastore povero, penitente, asceta del Popolo, infaticabilmente proteso al bene supremo delle anime, alla formazione profondamente soprannaturale del suo Clero, come attestano i suoi celebrati discorsi ai Sinodi da Lui tenuti (S. Caroli Borromaei Orationes XII, Romae MDCCCCLXIII); egli fu il forte difensore dell’autorità vescovile e l’amabilissimo padre degli umili e dei poveri come dei grandi e dei potenti; l’educatore di tutte le età e di tutti gli ambienti (A. DEROO, San Carlo Borromeo, il Cardinale Riformatore, pp. 367 ss.). La Chiesa post-tridentina ebbe in lui il maestro per eccellenza, l’interprete rigoroso dei canoni conciliari, il realizzatore volitivo e tenace che seppe viverne e insegnarne l’applicazione con la legge, con la parola, con l’esempio.
ALTE RICCHEZZE SPIRITUALI
A motivo di tale esperienza, per Noi tuttora commovente, Noi ci sentiamo e ci sentiremo sempre uniti a voi. Per questo intimo legame di devozione, di gratitudine, e di affetto, non possiamo esimerci dal chiedere a Noi stessi e a voi: Ed ora? Quale ricordo, quale incoraggiamento, quale invito possiamo rivolgervi? Ebbene, Venerabili Fratelli e figli Nostri, guardando a voi da lontano, ma pur sempre vicini col cuore, crediamo di potervi dire, con ferma speranza che la Nostra voce non cada inascoltata: abbiate sempre care, e difendetele dall’usura del tempo come dalla presente evoluzione della società, le vostre ricchezze spirituali più alte e più sante.
1) Anzitutto le vostre grandi Istituzioni: e per primo il Duomo, scrigno prezioso di marmi e misterioso di Santi, che innalza al cielo le sue guglie come una preghiera e come il simbolo di un’altissima e sempre vigile tensione spirituale. Quanto ci hanno rallegrato i ragguagli, giuntici a suo tempo sui continui restauri e sulle nuove sistemazioni fatte con tanta dedizione e competenza dagli organi interessati! Ce ne compiacciamo di gran cuore. Abbiate specialmente cura di quanto si compie nel vostro Duomo, centro spirituale della «vita liturgica della Diocesi che si svolge intorno al Vescovo» (Cfr. Sacrosanctum Concilium, 41), cioè il suo culto, il suo rito, nei quali si tramanda l’intima e lirica e sobria pietà di Sant’Ambrogio, e il canto così bene curato dai membri della Cantoria.
Curate sempre il Seminario, anzi i Seminari, che sappiamo fiorenti di vocazioni generose di giovani, che hanno risposto all’invito di Dio per consacrarsi anima e corpo a Cristo, per essere un giorno gli educatori al soprannaturale, consapevoli della loro gravissima responsabilità e pieni di virtù pienamente e serenamente vissute, come Angeli in terra secondo la parola di San Carlo: Angeli enim estis! (Or. VII, a. 1568; op. cit., pp. 86-87)
Oggi, come e più che al tempo di San Carlo, il Seminario è istituzione insostituibile per la formazione integrale del sacerdote, secondo la tradizione così ricca di esempi pastorali, che il clero ambrosiano ha dato nei secoli; incoraggiamo perciò quanti condividono le sollecitudini del vostro degno Cardinale Arcivescovo per i suoi Seminari, specie per il restauro che si sta compiendo di quello di Corso Venezia.
Curate gli istituti di cultura, nobile ornamento di Milano: la Biblioteca Ambrosiana, testimonianza della generosità e del genio di un altro Borromeo, il grande Cardinale Federigo; la Università Cattolica del Sacro Cuore, realizzazione geniale e necessaria che non può e non deve, oggi, venir meno ai compiti per cui fu fondata; i Collegi, che, sparsi nelle industri città dell’arcidiocesi, raccolgono la gioventù e la preparano ad inserirsi nella società con una collaudata bontà di metodi pedagogici, che tanti frutti hanno dato alla società.
Curate le Istituzioni di carità, e abbiate cari in primo luogo gli Ospedali (la Ca’ Grande, l’Ospedale Maggiore, ecc.), espressioni eloquenti del cuore di Milano, e della perfezione raggiunta in campo di assistenza medica; l’opera di Cesano Boscone, gli istituti assistenziali ed educativi di vario genere: la carità è il banco di prova della nostra fede in Dio, e della sincerità del nostro atteggiamento verso di Lui e verso i fratelli. E Milano, che non si è mai smentita in questo campo, continuerà certo a dedicarvi le sue più generose risorse.
DIFENDERE LA COMUNITÀ PARROCCHIALE
2) Accanto alle Istituzioni, vi raccomandiamo le Parrocchie. Vediamo come esse abbiano una vita fiorente, e sappiano organizzare una soddisfacente pastorale d’insieme, che tiene conto delle esigenze di tutti i ceti della popolazione, cercando di far fronte alle difficoltà che il cambiamento delle abitudini sociali ha introdotto ormai ovunque, nelle Città come nei centri rurali.
Parlando delle parrocchie, ci sta a cuore ricordarvi in modo particolare qualche punto a cui attribuiamo speciale importanza. E cioè: difendete gli Oratori, che ancor oggi sono un efficacissimo, potremmo quasi dire l’unico mezzo per salvare l’adolescenza e la gioventù dai tanti pericoli dell’edonismo e di ideologie errate, dalle nuove abitudini di una morale eterodossa, dalle tentazioni estreme della droga e della violenza. Fortunata la diocesi ambrosiana, che vanta in questo settore una organizzazione efficiente e in un certo senso perfetta, ammirata anche molto al di là dei suoi confini! Difendete il catechismo e l’istruzione religiosa, moltiplicando le iniziative - come fu al tempo della Missione - per far giungere a tutte le età e condizioni sociali la Parola di Dio che consola, che libera, che salva.
Difendete la comunità parrocchiale, rendendola sempre più compatta, osservante, laboriosa nella piena fedeltà al Vangelo, alla pratica della virtù, all’insegnamento del Magistero Pontificio sui problemi cruciali della vita personale, familiare, sociale, affinché la vita cattolica di Milano continui ad essere un faro che orienta e illumina, in mezzo a tante tenebre pervertitrici dell’intelletto e del senso. Favorite, ancora nell’ambito della parrocchia e della diocesi, l’Azione Cattolica, che tanta ricchezza di collaborazione intelligente, sollecita, attivissima ha prestato finora alla Gerarchia, e tanta utilità ha recato per la formazione e la tutela della mentalità e dell’agire cristiano, dando espressioni mirabili, in persone e opere, di quanto sia incisiva l’azione di un apostolato laico veramente convinto, unito alla preghiera e al sacrificio. Se si sentiva il bisogno di rigenerarla, secondo le istanze del nostro tempo, i nuovi Statuti di recente approvati dalla Santa Sede danno la possibilità, Noi speriamo, di farla nuovamente fiorire per il bene della società e della Chiesa in Italia; essa ora può e deve servire alle esigenze di una formazione più convinta e approfondita delle varie categorie di persone a cui si rivolge, ma soprattutto della gioventù, le cui associazioni devono conservare la loro autentica fisionomia originaria, pur nelle necessarie forme della collaborazione richiesta.
LA CAUSA DELLA STAMPA CATTOLICA
Ancora un grande assillo vorremmo confidarvi: ed è quanto tocca oggi alla Chiesa di fare, di fronte ai formidabili problemi della Società moderna e industriale. Sono come due mondi che stanno a fronte, e che, certe volte, non riescono a trovare il punto di contatto. Eppure c’è buona volontà da entrambe le parti, non mancano i talenti né le energie per risolvere le tensioni, e vi è una profonda connaturalità per le immense risorse di carità, di fratellanza, di buon proposito che entrambe le anima per venire incontro alle ansie dell’umanità. La Chiesa è stata istituita da Cristo per la salvezza del mondo: un intero e celebre documento del Concilio Vaticano II sta a dimostrare quanto le stiano a cuore i problemi che travagliano il nostro tempo, e come essa cerchi di aiutare in ogni modo gli uomini, affinché, non perdendo mai di vista la loro destinazione soprannaturale, possano raggiungere un livello di vita sempre più consono alla propria dignità. Occorre un impegno generoso perché queste ansie della Chiesa siano fatte conoscere a chi è lontano, o assente, o anche ostile, perché il messaggio della Salvezza in Cristo giunga a tutti, e nel modo più adatto.
Sarà perciò necessario cercare i contatti, il più possibile cordiali e aperti, con tutte le componenti di questa società odierna: ma in particolare ci riferiamo all’esigenza di perfezionare l’assistenza spirituale e religiosa al mondo del lavoro, che, in una regione industrializzata come la vostra, richiede una collaborazione di tutte le forze valide e una programmazione pastorale di idee chiare e di volontà ferma, perché apre vastissime possibilità di applicazione; vogliamo altresì, a questo proposito, incoraggiare e stimolare ancora di più quanto si compie in favore degli immigrati, i quali hanno bisogno di un calore umano, che solo la comunità parrocchiale, vivente nella carità di Cristo, può loro offrire per farli sentire meno soli, e maggiormente inseriti nella città, che li ospita.
Rimane, infine, il problema urgente e insostituibile della stampa cattolica, alla quale, come ben sapete, Noi dedichiamo la Nostra più viva sollecitudine: sostenete con generosità e lungimiranza il quotidiano «Avvenire», continuate a rendere a questa buona causa un servizio tanto prezioso e determinante, affinché, anche in tale settore, Milano sia di esempio a tutte le altre diocesi d’Italia.
Abbiamo voluto confidarvi questi pensieri, spaziando nei vari campi, con una profonda fiducia nella vostra buona volontà.
Come già vi scrivemmo nel Messaggio pastorale dell’Il agosto 1963, «l’ora nostra merita un impegno profondo, di vita interiore, di pensiero, di azione. Non soltanto per difendere il tesoro spirituale, che la tradizione ci ha fatto pervenire, ma altresì per mostrarne l’incomparabile pregio, la perenne vitalità, la sorprendente attualità, la meravigliosa giovinezza e inesauribile fecondità. Il Vangelo, dicevamo, non è vecchio, è eterno. Solo che oggi vuol essere vissuto in pienezza, con coscienza nuova della sua originalità e della sua necessità, e con dedizione nuova» (Paolo VI ai Milanesi, Arcivescovado di Milano 1963, pp. 22-23).
Milanesi carissimi! Ve lo diciamo perché abbiamo imparato a conoscervi bene: Milano può ! Osate! Avete dato all’Italia cattolica le sue più significative espressioni, in tutti i campi. Bisogna ricominciare una nuova esperienza, per trasformare cristianamente il mondo, con l’energia, con l’umiltà, con l’ardore di un Sant’Ambrogio e di un San Carlo, che hanno veramente dato alla loro età un volto cristiano.
Vi aiutino essi in quest’opera necessaria; e la Madonnina vegli su di voi, come sempre, accogliendo nel gesto materno delle sue braccia l’intera città che le sta ai piedi, e tutte le ridenti contrade della terra lombarda. Noi vi rinnoviamo la promessa del Nostro costante ricordo nella preghiera: e tutti vi benediciamo, nel Nome del Signore.
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