DISCORSO DEL SANTO PADRE PAOLO VI
AL SINDACO E ALLA GIUNTA COMUNALE DI ROMA
Lunedì, 28 dicembre 1970
Accogliamo questa visita del primo Magistrato della Città di Roma e delle persone che con lui condividono l’onore e la responsabilità della civica amministrazione con piacere e con riverenza. Essa ci porta i voti dell’Urbe, a Noi molto graditi come quelli d’una cittadinanza, erede d’una storia incomparabile, rappresentante d’una tradizione, che fa scuola al mondo per la dignità, per la sapienza, per la perfettibilità del Diritto onde essa è imbevuta, e non meno come quelli d’una comunità civile nella quale è fusa la comunità ecclesiale, fra tutte a Noi dilettissima, per essere la Nostra diocesi, oggetto primario del Nostro ministero pastorale, la Chiesa, - per usare delle parole celebri d’Ignazio d’Antiochia, martire al principio del secondo secolo, - «che presiede nella regione dei Romani, degna di Dio e d’onore, e d’essere detta beata, degna di lode e di successo e di purezza», quella Chiesa, secondo la famosa frase, che presiede alla carità, cioè alla Chiesa universale, in quanto ceto compaginato dall’amore di Cristo (Cfr. Lettera ai Romani, prologo).
Come potremmo Noi essere insensibili ad un gesto come cotesto, o Signori, che dimostra, da un lato, come voi stessi siete nobilmente coscienti della romanità da voi personificata e rappresentata, e, dall’altro, come Roma civile, rivestita della maestà e della funzione di Capitale d’Italia, non vuole essere né agnostica né ostile verso il suo Vescovo, il quale, per essere successore dell’Apostolo Pietro, fa di Roma il centro spirituale e canonico della Chiesa cattolica nel mondo.
Siamo commossi e riconoscenti d’un omaggio, che riteniamo professione d’un’alta concezione della missione di Roma e dei rapporti, che devono qui intercedere fra il Campidoglio e il Vaticano, la quale concezione non solo ci consente, ma ci obbliga ad un dialogo, a cui gli anni e gli avvenimenti possono offrire proficuo e inesauribile tema di reciproco vantaggio.
Noi ne profittiamo subito, innanzi tutto per ringraziarvi della vostra visita e del significato augurale ch’essa riveste. E per augurarvi a Nostra volta quanto di meglio il Nostro cuore può concepire per il bene delle vostre persone. Ci piace vedervi volonterosi e uniti nell’arduo impegno di amministrare una Città, come Roma, illustre e moderna, ma carica di mille problemi; lasciate che i Nostri voti possano auspicare che voi siate sempre consapevoli e degni della fiducia, che i vostri concittadini vi hanno dimostrata, chiamandovi all’esercizio di funzioni complicate e difficili, ma necessarie per il bene della popolazione romana. Le virtù civili, che sono proprie del vostro ufficio e che voi vi studiate di professare con perfetta integrità, con solidale concordia, con alacre saggezza, sono già un grande dono che voi fate alla Città; da nulla essa può avere pari morale utilità, quanto dalla vostra personale ed esemplare testimonianza di civico sentimento; e di nulla essa vi può dare eguale suffragio di stima e di encomio quanto appunto del riconoscimento della fedeltà, possiamo dire romana, da voi consacrata al pubblico bene.
E poi i Nostri auguri suonano incoraggiamento. Lo vediamo: ogni aspetto della vita cittadina è diventato problema: la viabilità, la scuola, l’igiene, le finanze, il lavoro, l’ordine pubblico, la moralità . . . . tutto sembra doversi riprendere in esame con radicali provvedimenti. Noi siamo ammirati del vostro impegno e del vostro ardimento. Se uno di questi problemi ci è lecito segnalare alla vostra paziente attenzione, che già ne è assorbita ed oppressa, è quello dei così detti «baraccati», cioè dei Poveri, che continuamente affluiscono a Roma, e formano quasi per generazione spontanea le borgate marginali della città, piene di umile gente in lotta con la miseria; consentiteci di farci avvocati di questi diseredati cittadini di Roma, che sembrano tutto aspettare da voi; vorremmo Noi stessi essere in grado, almeno simbolicamente, di concorrere alla vostra improba fatica con qualche Nostro modesto segno della Nostra solidarietà. Superfluo che ne diciamo a voi i motivi: questi sopravvenuti sono poveri e sprovveduti, ma ormai sono romani, e sono cristiani; sono fratelli.
Altro tema, su cui ci piacerebbe indugiare con voi, sarebbe quello della tutela del patrimonio archeologico e artistico dell’Urbe; ma vi sappiamo su questo tema già molto vigilanti e solleciti. Desideriamo assicurarvi del Nostro compiacimento e del Nostro incoraggiamento.
E non avremo anche Noi qualche cosa da prospettare in questa circostanza, in cui ogni cosa diventa auspicabile? Sì, voi già lo sapete dove è rivolto il Nostro occhio di Pastore: alle nuove Parrocchie, ai nuovi centri popolari di assistenza religiosa e morale della crescente popolazione di Roma. Vi dobbiamo, anche in questo campo, il ringraziamento per quanto il Comune di Roma ha già fatto per favorire la fondazione di questi nuovi centri, atti quant’altri mai a confortare il popolo nostro, a conservarlo onesto e cristiano, a sviluppare in lui il senso della socialità spirituale, a educarlo ai doveri cittadini, a dare alla sua vita un senso sereno ed umano. Grazie; ma siccome i bisogni sono sempre grandi e crescono ancora, e sono enormemente superiori alle nostre forze, Noi vi preveniamo che dovremo ancora ricorrere alla vostra comprensione, non oltre i confini di quanto è possibile e conveniente, ma sempre entro quelli della benevolenza e della valutazione del bene, che l’opera del Nostro Vicariato può recare alla Città.
Alla quale vogliamo mandare, tramite vostro, un augurio speciale nella ricorrenza natalizia e nell’apertura del nuovo anno: che sia prospera, che sia felice, che sia cosciente della sua funzione di Capitale dello Stato Italiano, ancora teso verso la formazione profonda della sua unità civile, sociale, culturale, morale, religiosa; che sia degna nell’Italia e nella Chiesa cattolica d’essere Roma.
A voi, che ne curate e ne servite le sorti, a tutti i Romani Nostri figli prediletti la Nostra Benedizione Apostolica.
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