DISCORSO DI PAOLO VI AI FEDELI
DELLA PARROCCHIA SAN GIOVANNI BATTISTA
DI SOTTO IL MONTE GIOVANNI XXIII
Venerdì, 27 aprile 1973
È un incontro intimo e commosso, ricco di ricordi personali e di confidenze, quello che Paolo VI ha con i pellegrini della parrocchia di San Giovanni di Sotto il Monte Giovanni XXIII, venuti in Vaticano a pregare presso la tomba di Giovanni XXIII, nell’anno in cui ricorre il decimo anniversario della sua morte. Il Papa rievoca i momenti del suo rapporto di amicizia con il Predecessore, indicandone la grande umanità e la testimonianza d’amore come preziosa eredità da custodire gelosamente e da tramandare integra alle nuove generazioni.
«Mi è molto facile - dice il Santo Padre - associarmi ai vostri sentimenti, al vostro rimpianto e anche ai vostri propositi di fedeltà alla memoria e agli esempi, che Papa Giovanni ha lasciato. Siate dunque i benvenuti! Se grande è la gioia vostra di poter celebrare con questo incontro col Papa una data così significativa, non minore è la consolazione che Noi stessi proviamo nel costatare i vincoli di affetto e di venerazione, che ancora vi legano al grande scomparso». La pubblica testimonianza di amore e di attaccamento alla persona del Vicario di Cristo è degno tributo alla sua memoria. E in tale testimonianza il Papa ravvisava la conferma delle radici profonde che ha la fede cristiana nella comunità parrocchiale di San Giovanni, in seno alla quale trovarono la prima scuola e il terreno adatto per germogliare quelle elette virtù, che resero così amata nel mondo la figura di Papa Giovanni.
Paolo VI augura perciò ai visitatori che la loro parrocchia possa continuamente attingere al suo esempio e al suo insegnamento lezioni di amore a Dio, di fedeltà alla Chiesa, di carità fraterna e di adesione convinta e tenace a quel patrimonio di ideali religiosi e morali che per la parrocchia stessa formano titolo di onore. «Rendetevi sempre degni della memoria di Papa Giovanni. L’aver avuto la fortuna di avere un Papa simile come compaesano, di aver avuto lui nutrito delle stesse tradizioni, delle stesse impressioni, delle stesse visuali esteriori, vi associa in modo particolare alla sua memoria e al dovere di continuare, come se lui fosse ancora tra voi, a far scuola, a parlare». Leggendo il «Giornale dell’anima» sembra di sentirlo parlare. Ebbene, bisogna seguire quel suo stile di spirito, di costume, di fedeltà a Cristo e alla Chiesa per essere perseveranti nella memoria e nel culto di quel grande e buon Pontefice. «Continuate a camminare sulle sue orme, rimanendo fedeli agli esempi che egli vi ha lasciato e coltivando intatta “"la carità del natio loco", non con spirito campanilistico, ma come vigile consapevolezza di una eredità sacra e preziosa, che avete ricevuto e che volete tramandare integralmente ai vostri figli e ai vostri nipoti».
A questo punto il Santo Padre comincia ad enumerare i suoi ricordi personali degli incontri avuti con Angelo Roncalli, fin dal primo, quello avvenuto in occasione dell’Anno Santo 1925. Era seduto al suo scrittoio nell’ufficio di Piazza Mignanelli, un palazzo che dipendeva da Propaganda Fide. Si occupava delle opere missionarie in Italia. «Andai parecchie volte a visitarlo - ricorda Paolo VI -, e lo trovai sempre tanto accogliente nonostante che fino ad allora fossi per lui uno sconosciuto. Ma subito si diventò amici, per quella virtù straordinaria che lui aveva di comunicativa cordiale, di essere subito accessibile a chi lo avvicinava. Sapendo poi che io ero di Brescia . . .».
Poi Monsignor Roncalli fu nominato Delegato Apostolico in Bulgaria. In quel periodo, Monsignor Montini si occupava dell’apostolato tra gli studenti universitari. Si creò la necessità di invitare un sacerdote particolarmente preparato per predicare loro la Pasqua. Monsignor Montini scrisse una lettera a Monsignor Roncalli in tal senso, una lettera che in seguito Monsignor Capovilla ritrovò in un carteggio e restituì a Paolo VI. Monsignor Roncalli, però, era in partenza per Sofia e non poté accettare l’invito. Rispose però con una lettera così gentile e affettuosa da rimanere particolarmente impressa nella memoria del destinatario, che ancora oggi la ricorda come esempio dell’eccezionale calore umano del personaggio.
Altri incontri ebbero luogo in Segreteria di Stato durante la missione diplomatica di Monsignor Roncalli in Bulgaria: ogni volta che questi veniva in Vaticano, si intratteneva volentieri con Monsignor Montini, intrecciando con lui una conversazione amabile e cordiale.
«Anche quando ero a Milano venne diverse volte a trovarmi - ricorda ancora Paolo VI -. Aveva già fatto visita alla Curia al tempo del grande predecessore, Cardinale Ferrari, e nell’anticamera aveva scoperto nei vecchi scaffali alcune memorie che nessuno più guardava e che invece lo interessavano. Da studioso qual era, le esaminò con molta attenzione, e proprio li trovò il materiale per i volumi sulle visite pastorali di San Carlo, che avrebbe poi pubblicato. Poi, diventò quasi un amico di casa della Curia, e le sue visite si moltiplicarono». Ma all’Arcivescovo di Milano capita spesso di essere sommerso dagli impegni e di aver poco tempo a disposizione per la conversazione. Paolo VI ricorda con rammarico la tirannia del tempo che a volte gli impedì di intrattenersi a lungo, come avrebbe voluto, con un amico tanto interessante e tanto caro. Una volta si stava preparando la grande missione del 1957 nell’Arcidiocesi e Monsignor Roncalli paragonò sorridendo l’impresa alla spedizione degli Argonauti, per alludere a un esempio antico di grande preparazione e di grande importanza.
Da Patriarca di Venezia, Monsignor Roncalli invitò Monsignor Montini, Arcivescovo di Milano, a predicare in San Marco in occasione del centenario di San Lorenzo Giustiniani. La sua ospitalità fu squisita. La sera i due Presuli parteciparono insieme a una grande riunione dell’Azione Cattolica, che aveva per oggetto temi particolarmente delicati e impegnativi. La mattina dopo, la grande cerimonia nella Basilica, il Patriarca fece sedere l’Arcivescovo sul trono patriarcale e per sé dispose un altro seggio di fronte. Dopo il rito, volle accompagnare l’ospite e i suoi segretari sul campanile di San Marco, donde si gode il suggestivo panorama dell’intera città lagunare. A sera, poi, nonostante le fatiche della giornata, non era affatto stanco. Aveva ancora desiderio di fare conversazione. Invitò l’Arcivescovo nel suo studio e gli mostrò la raccolta dei fascicoli dei suoi diari. In uno di essi, c’era la corrispondenza intercorsa tra l’allora Sostituto della Segreteria di Stato Monsignor Montini e Monsignor Roncalli quando era a Sofia, e poi in occasione della sua chiamata a Parigi. «Fu un grande avvenimento per la Chiesa e per lui, e mi fece vedere come aveva registrato e commentato questo episodio così importante della sua vita».
«Quando fu Papa - prosegue Paolo VI -, cercai di trattenermi sempre pochissimo a Roma, con l’idea di non dargli fastidio. La sua bontà mi avrebbe dato il rimorso di rubargli tanto tempo». Ma Giovanni XXIII resisteva. Una volta, mentre l’Arcivescovo di Milano si stava congedando, lo interruppe dicendogli: «Lei si ferma a colazione». «Non avevo mai pranzato col Papa - ricorda Paolo VI -. Fu la prima ed unica volta che ebbi questo onore. Egli fu molto cordiale e mi accettò al suo tavolo di fronte a lui a Castel Gandolfo».
«Mi trattò sempre con molta fiducia e con molta confidenza; mi predilesse - aggiunge il Santo Padre -. In realtà, egli prediligeva tutti; aveva per tutti una abbondanza di cordialità, di bontà, di affezione, di effusioni d’animo. Spesso condiva la conversazione con qualche facezia, ma sempre, sempre con riferimenti spirituali molto diretti e molto edificanti».
L’ultimo ricordo è una memoria dolorosa. Il Cardinale Montini venne a Roma il primo giugno del 1963, proprio per visitare il Papa ammalato. Ma Giovanni XXIII, in quel momento, aveva l’apparecchio per la respirazione all’ossigeno ed era assopito; non gli fu possibile parlare. «Pregammo un po’ con gli altri - ricorda Paolo VI - e poi lo lasciai con mio grande dolore, perché prevedevo che sarebbe stata l’ultima volta che avevo la fortuna di avvicinarlo».
«Questo per dirvi - osserva il Papa rivolto ai pellegrini di Sotto il Monte - come anch’io l’abbia tenuto tanto caro nel cuore, come le sue memorie siano scolpite nell’anima mia e come anch’io vorrei essere capace di imitarlo in qualche maniera nella sua pietà, nella sua bontà, caratteristiche di queste altezze spirituali che noi guardiamo dal basso, ringraziando il Signore che ce le ha fatte ammirare in un personaggio così degno della venerazione universale del mondo e specialmente della Chiesa. Celebriamolo quindi insieme, il decennio. Mi recherò il 3 giugno, come tutti gli anni, in San Pietro a dir Messa accanto alla sua tomba e pregherò anche per voi che siete venuti in anticipo. Ci sentiremo insieme e contenti di saperlo vicino e che ci benedice».
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