DISCORSO DI PAOLO VI A CONCLUSIONE
DEGLI ESERCIZI SPIRITUALI IN VATICANO
Sabato, 17 marzo 1973
Paolo VI rivolge una parola di saluto ai presenti per esprimere la letizia in lui procurata dall’aver condiviso un breve momento di silenzio e di preghiera comune, una pausa dal lavoro e nello stesso tempo una meditazione, un punto di partenza per la preghiera, per soddisfare al bisogno di corrispondere alla vocazione di lodare e servire il Signore, e difendere il tesoro della religione incentrata nel Dio uno e trino. Il Papa vuole sottolineare in maniera particolare l’importanza dei momenti di preghiera trascorsi insieme ai fratelli nell’Episcopato, una vicinanza pur continua nel lavoro di ogni giorno, nella collaborazione, nello sforzo comune di servire la Chiesa, che nulla toglie però alla bellezza di sentirsi circondati dall’affetto nei momenti di raccoglimento dedicati allo spirito, nell’unione e nell’attesa dei lumi dello Spirito Santo, quando si cerca la consolazione, il conforto del sentirsi inebriati della sola preoccupazione di adorare, capire, quando si cerca di ottenere e ricambiare al Signore la perenne promessa di fedeltà.
Sua Santità sottolinea, poi, il profondo significato che il momento spirituale trascorso assumeva nella vita della Curia. È un atto che vuol dare un tono alla vita curiale, purtroppo così sfigurata, agli occhi di chi meno la conosce e forse meno la ama, quasi fosse un complesso artificioso, burocratico, giuridista, solo preoccupato dei riflessi esteriori e terreni della vita religiosa; mentre al contrario essa vuol nutrirsi proprio alle sorgenti interiori della vita religiosa, alle sue finalità supreme, quelle di promuovere il Regno di Dio nella sua autenticità, di misurarlo con le difficoltà che lo circondano, con sempre nuovo e geniale coraggio. La Curia vuol essere davvero un cenacolo permanente; ed avere realizzato visibilmente questa finalità insieme con tante persone buone, fedeli, forti e generose e consacrate totalmente alla crescita della Chiesa, è un fatto pieno di significato ed è motivo di gioia e consolazione.
Il Papa, quindi, ringrazia di nuovo i porporati e i vescovi presenti, per la comunione vissuta insieme, assicurando le proprie preghiere e chiedendo la preghiera di tutti, per impetrare dal Signore una duratura efficacia dei momenti singolari vissuti in profonda preghiera, meditando temi così alti ed autentici.
A nome di tutti ringrazia il predicatore, sottolineando che, nonostante la difficoltà del tema trattato, ha saputo usare parole e modi di grande efficacia ed è riuscito a far gustare ai partecipanti la virtù intrinseca della teologia. La meditazione teologica, come lo stesso predicatore l’ha intitolata, aveva saputo esprimere, al vertice della capacità di ricevere degli ascoltatori, il messaggio misterioso e insondabile della Divinità.
Cercheremo, continua il Papa, di continuare a perseguire questa insonne ricerca di Dio uno e trinitario. Il Santo Padre ha sottolineato poi l’alto valore e conforto del richiamo alla realtà religiosa, al suo centro e punto focale, venuto dai momenti di predicazione e di preghiera. È stata quasi una sfida al laicismo, alla secolarizzazione, alla dimenticanza di Dio, alla incapacità di pregare che si manifesta in questo momento della vita della Chiesa. Una Chiesa che in alcuni suoi membri sembra quasi volersi spogliare del suo aspetto religioso, volere un cristianesimo senza Dio, volere una religione senza difficoltà dogmatiche e dottrinali, cedendo ad una larghezza di vedute che fa capo ad un pluralismo capace di ogni accoglienza e di ogni confusione. La preghiera comune ha dato un colpo d’ala che speriamo ci faccia inebriare delle verità e delle fedeltà celesti.
Paolo VI nel ricordare, ora, la figura del predicatore salesiano ha parole di affetto per quella famiglia religiosa, per la sua attività consacrata all’educazione della fanciullezza, la quale è capace di tante ascensioni: proprio per la sua innocenza, ravvivata dalla buona educazione religiosa; un’infanzia che viene portata al contatto ed alla conversazione con Dio, rimedierà con la sua presenza alle carenze di tanta gioventù di oggi: una generazione che cresce in un ateismo convissuto, quasi connaturato alla maniera di vivere moderna.
Il Santo Padre, infine, rinnova il proprio invito a continuare la preghiera per questo focolare di servizio alla Chiesa che è la Curia, questa organizzazione, alla quale il Papa stesso dedica tempo, fatica, studi per renderla davvero capace, come un santuario, di accogliere le verità del Signore, di capirle, di portarne poi il riflesso nell’attività che svolge.
Riprendeva il tema della meditazione di questi giorni: vedere il riflesso della Trinità rifrangersi nelle attività, anzi trovare dappertutto la Trinità, che sembra inaccessibile nei suoi termini, ma che diventa accessibile nell’analogia che trasferisce, e ci fa percepire, nella nostra quotidiana esperienza. Sant’Agostino dice Nosse est velle, il che significa che è dentro di noi che si deve cercare il punto di riferimento per approfondire la conoscenza del mistero della Santissima Trinità.
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