III ASSEMBLEA GENERALE DEL SINODO DEI VESCOVI
DISCORSO DEL SANTO PADRE PAOLO VI
AL COLLEGIO E ALL'UNIVERSITÀ URBANIANA
DI «PROPAGANDA FIDE»
Domenica, 20 ottobre 1974
Perché qua sono oggi convenuti i membri del Sinodo Episcopale? Noi abbiamo accolto per essi l’invito che ci è stato rivolto, non senza nostra personale compiacenza, dal Signor Cardinale Agnelo Rossi, Prefetto della Sacra Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, comprendendo il duplice motivo della nostra presenza in questo nobile e rinomato edificio, in cui hanno sede il Pontificio Collegio Urbano, non che la Pontificia Università Urbaniana, due istituzioni di grande importanza per la Chiesa cattolica, entrambe destinate alla preparazione di Alunni e di Maestri per l’apostolato missionario, cioè per quella Evangelizzazione d’uno dei settori più vasti e più qualificati a ricevere il messaggio di Cristo, alla quale è rivolto lo Spirito, lo studio e l’opera del Sinodo nostro medesimo. Dove trovare un posto più adatto per celebrarvi un’ora dei suoi intelligenti lavori? Non è questo un domicilio eretto, or sono quasi cinquant’anni, dopo la celebrazione dell’Anno Santo del 1925, con profetica intenzione dal nostro grande Predecessore Pio XI, d’immortale memoria, per dare alla Chiesa cattolica un centro nuovo e adeguato ai nuovi tempi, donde possa irradiarsi una cultura, una pedagogia, un fervore missionario più corrispondenti al mandato apostolico, affidato da Cristo alla sua Chiesa, e più proporzionati ai bisogni della cattolicità e del mondo ancora ignaro alla vocazione del Vangelo?
Qui, venerati Fratelli, e voi Maestri e Ospiti di questo benedetto focolare missionario, tutti ci sentiamo missionari. Parlano i luoghi! quell’Evangelizzazione, intorno alla quale il nostro Sinodo, e con esso tutta la Gerarchia cattolica, anzi tutta la nostra santa Chiesa di Dio, in questi giorni si affatica per meditarne il mistero, per comprenderne il dovere, per studiarne le condizioni, per determinarne i mezzi, e soprattutto per viverne in quest’ora felice la «urgente carità», qui si afferma e risplende, qui c’investe del suo supremo interesse, qui ci fa incontrare Cristo risorto, quasi a noi stessi rivolgesse le sue imperative e galvanizzanti parole: Euntes ergo docete omnes gentes (Matth. 28, 19). Qui noi ci sentiamo non solo stimolati, ma esaltati, quasi incuranti delle nostre innumerevoli deficienze, a osare, sulla parola del Maestro e nell’impeto del suo Spirito, l’impresa magnanima di annunciare, con nuova lena, con nuovo linguaggio, con nuova testimonianza, all’umanità, al mondo, il Vangelo della salvezza. Qui la Chiesa ci ha convocati quasi per sperimentare in un suo prediletto santuario la nostra specifica e privilegiata vocazione di missionari, di apostoli, di testimoni dell’intervento salvifico di Dio Padre, mediante il Figlio suo e Fratello nostro Gesù Cristo nostro Signore e Maestro, nella comunicazione ineffabile dello Spirito Santo, per aprire al mondo un nuovo regno di giustizia e di vita (Cor. 13, 13).
Una circostanza speciale accresce oggi in noi la coscienza di questo divino disegno, ed è la celebrazione, che proprio in questa domenica la Chiesa ha fissata, della «Giornata Missionaria». Una mirabile sintonia di pensieri, di propositi, di preghiere, che oggi fa della Chiesa cattolica, diffusa sulla terra, un «Cuor solo e un’anima sola» (Act. 4, 32), ci circonda e ci assale: possiamo noi, fatti dal nostro Sinodo studiosi dell’arduo e prodigioso fenomeno dell’Evangelizzazione odierna nel mondo, rimanere estranei, rimanere indifferenti a questa ispiratrice coincidenza? Non uniremo noi, come umili fratelli, i nostri animi a quelli dei Fedeli di tutto il mondo per celebrare con essi, anzi anche per essi, la «Giornata Missionaria»?
Oh, sì! noi pensiamo che sia provvidenziale per comprendere nella sua più vera luce la grande questione dell’Evangelizzazione questa nostra presente fisica e spirituale collocazione: questo è un punto prospettico dal quale possiamo guardare con meravigliata fiducia la linea dinamica e risolutiva delle maggiori questioni che il tema dell’Evangelizzazione presenta alla nostra faticosa riflessione. Citiamone una : come comporre la cattolicità del Vangelo con la sua unità? Non ci dimostra forse questo centro di studio e di preparazione missionaria, che l’irradiazione del Vangelo a tutti i Popoli della terra qui è prima legge statutaria, con le sue legittime conseguenze che sia riconosciuta ogni civiltà di livello autenticamente umano, ogni lingua degna d’esprimere a Dio la voce d’una medesima gente, ogni struttura storica e civile capace di guidare l’incremento d’un Popolo nella sua specifica personalità e nella fratellanza della giusta e libera convivenza con gli altri Popoli? Noi abbiamo notato nelle discussioni del nostro Sinodo un’accentuata volontà di diffusione etnico-geografica, che non chiameremo centrifuga, ma di vitale, connaturata espansione, innamorata di libera universalità, di non equivoco pluralismo, di pentecostale promozione . . . Ebbene: qui non è forse canonizzata in partenza questa cittadinanza nella vocazione evangelica d’ogni umana espressione? Ne soffrirà forse per l’ossequio dovuto alla maturità delle nuove e molte genti l’unità del mondo, che si rivela ogni giorno di più, non solo come il traguardo del civile progresso, ma la volontà suprema dell’amore, il testamento del cuore di Cristo: unum sint, siano tutti uno? (Cfr. Io. 17, 11, 19, 21-23) No, non ne soffrirà, perché la convergenza verso l’unità sarà altrettanto vigorosa e necessaria, quanto più lo sarà la diffusione verso la cattolicità; un duplice moto, se è consentito il paragone, di diastole e di sistole, caratterizzerà sempre più la circolazione della vita in quel mistico Corpo di Cristo, che è la Chiesa, universale ed unica. E come da un lato, non solo noi, mandati dal Signore a succedere in questa eterna città, che custodisce con le reliquie degli Apostoli Pietro e Paolo, la successione della loro centrale e universale missione, non temiamo, anzi promoviamo, con l’autorità conferitaci da Cristo, quanto possa favorire l’irradiazione della Chiesa sulla faccia della terra e nel dramma della storia universale, così noi siamo fiduciosi che non susciterà diffidenza e resistenza la medesima autorità, che chiama a raccolta nell’unico ovile di Cristo i popoli e le anime che hanno la fortuna d’essere suoi. Pastori noi siamo, Fratelli siamo; non padroni, non signori; e anche nell’esercizio della potestà, certamente non vana, delle chiavi del Regno, messe nelle nostre mani da Cristo, nostro vanto altro non è che quello di realizzare, nella migliore misura della nostra consapevole debolezza, la parola di Gesù Signore: sint consummati in unum, et cognoscat mundus quia Tu (Pater), me misisti et dilexisti eos (Io. 17, 23).
Vogliamo dire: quanta luce si diffonde da questo punto focale sulle realtà della nostra vita religiosa e temporale, realtà rese spesso problemi intricati e senza plausibili risposte, quando le consideriamo fuori del quadro, in cui lo sforzo di fedeltà a Cristo e di umana saggezza le colloca, come qui sono, quasi in espressione emblematica, e in esperienza tuttora potenziale di sempre migliori progressi. Vengono, ad esempio, allo spirito certe questioni caratteristiche del tema posto allo studio del Sinodo, come quella dell’identità indiscutibile della fede, la quale, in linguaggio apostolico e missionario, effonde ed inventa una flessibilità di forme incarnate nella più varia fenomenologia etnica e storica. Chi si meraviglia perciò che da un centro, come questo, d’unica fede si allarghi a ventaglio internazionale, come naturale conseguenza, la più variopinta scena dell’umana figura rigenerata dal cristianesimo: l’uomo nuovo, c’insegna S. Paolo, che qui con S. Pietro è di casa, si richiama all’immagine del suo Creatore, «dove non è più Gentile, né Giudeo, circonciso e incirconciso, Barbaro o Scita, schiavo o libero, ma tutto e in tutti è Cristo» (Col. 3, 11; Gal. 3, 28). La verità fissa della fede, «operante mediante la carità» (Cfr. Gal. 5, 6) apre all’apostolo, al missionario, le vie verso tutti i punti cardinali della geografia terrestre, non perché egli imponga dappertutto una innaturale uniformità, ma perché sappia trarre da tutte le voci dell’umana civiltà la lode corale alle «grandezze di Dio» (Act. 2, 11).
Così potremmo dire dell’ecumenismo, dove il ricupero dell’armonia unitaria si fa più difficile: noi pensiamo che in questo laboratorio di comunione possano trovarsi formule felici di ricomposta unione cattolica mediante una critica e giusta complementarietà di sempre autentici valori religiosi e spirituali. Poi altro risultato di complementare integrazione qui può avere la sua giustificazione e la sua disciplina: la vera religione e la vera liberazione: tanto oggi se ne parla, ma già le formule pratiche della sua attuazione sono variamente, ma efficacemente applicate.
E allora due conclusioni, Fratelli venerati: la prima è una benedizione che noi tutti dobbiamo dare a questa casa, a chi ha merito per la sua origine, il suo sviluppo, la sua funzione. Superiori ed Alunni di ieri e di oggi, questa benedizione è per voi. Per voi, benefattori e maestri, per voi, membri delle varie Opere Missionarie facenti capo alla nostra valorosa Sacra Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, per Lei, specialmente, venerato Signor Cardinale Agnelo Rossi.
Altra conclusione, che sale nel cielo come umile e fervorosa preghiera per tutto il nostro mondo missionario cattolico. In Cristo, così sia.
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