DISCORSO DEL SANTO PADRE PAOLO VI
AL SACRO COLLEGIO
PER GLI AUGURI ONOMASTICI
Lunedì, 21 giugno 1976
Siamo riconoscenti al Cardinale Decano per le sue parole, sempre amabili, di augurio, nonché a voi tutti, venerati nostri fratelli del Sacro Collegio, che per il suo tramite ci avete espresso ancora una volta i vostri sentimenti di devozione e di affetto. Il Signore vi ricompensi di questo conforto che ci date: grazie, dunque! E grazie per la collaborazione, esperta, assidua e instancabile, che ci offrite nel governo universale della Santa Chiesa; e per lo sforzo nobilissimo di sempre meglio attuare, e portare a compimento, quella grande eredità del Concilio Vaticano II come pure quella dell’Anno Santo, che tuttora brilla sul nostro orizzonte con forza inestinguibile.
La consuetudine di questo incontro tradizionale ci offre ogni anno l’opportunità di soffermarci un istante su le necessità e i problemi della vita ecclesiale; e se la celebrazione del recente Concistoro ci ha già dato l’occasione di confidarvi le sollecitudini che ci ispira oggi il grave peso del Sommo Pontificato, non ci sembra peraltro fuori luogo, quasi a continuazione di quella straordinaria circostanza, sia pure a breve distanza da essa, richiamare ancora la comune attenzione su quanto forma l’oggetto costante delle nostre preoccupazioni pastorali: vogliamo dire le necessità principali della Chiesa nel momento presente.
La Chiesa! È essa il nostro amore costante, la nostra sollecitudine primordiale, il nostro «pensiero fisso»! Come la vita della Chiesa, in tutte le sue manifestazioni sia all’interno di essa sia nei rapporti molteplici col mondo, è stata il tema principale del Concilio Vaticano II, che ne ha unificato gli interessi e le indicazioni facendole confluire come in un unico alveo maestoso, così l’illustrazione, l’incremento e la difesa di quella stessa vita sono per noi il primo e principale motivo conduttore del nostro umile Pontificato. Così abbiamo voluto, così ancora vorremo, fino alla fine! Non si ama Cristo se non si ama la Chiesa; e non si ama la Chiesa se non l’amiamo come la amò il Signore: Dilexit Ecclesiam et seipsum tradidit pro ea (Eph. 5, 25).
Tra queste necessità della Chiesa, che tengono più impegnato il nostro spirito, noi oggi vorremmo indicarne alcune, come ideale prosecuzione del discorso che vi tenemmo nella ricordata circostanza del Concistoro.
PROMUOVERE L'UNIONE INTERNA DELLA CHIESA
Anzitutto il bisogno di favorire e promuovere sempre di più l’unione interna della Chiesa. È stata la preghiera di Gesù: ut sint unum (Io. 17, 22) preludio sacrificale della sua passione redentrice, presagio e monito, nella gravità e solennità dell’ora estrema, per quelle lacerazioni che avrebbero cercato di attentare, nei secoli, a una delle prerogative essenziali e delle « note » costitutive della Chiesa stessa, l’unità. Oggi, come in altri periodi di disorientamento dottrinale, ma forse più che non mai per il relativismo che talora raccoglie e assorbe e fa propri tutti gli errori secolari di una ragione ebbra di sé e disancorata da un sicuro rapporto con Dio (che pure è l’unico che ne garantisca l’autonomia e la dignità), oggi, diciamo, la comunione in seno alla Chiesa è, per alcuni, in pericolo. Occorre perciò far ritorno alle fonti, e sottolineare vigorosamente, senza stancarsi mai, che chi si distacca dalla Chiesa, dai suoi Pastori, dalle sue dottrine, dalle sue norme morali, si pone in pericolo di collocarsi da sé al di fuori della comunione ecclesiale. L’abbiamo detto a chiare lettere nell’allocuzione del Concistoro: occorre evitare gli estremismi opposti, sia da parte di chi si appella alla tradizione per giustificare la propria disobbedienza al supremo Magistero e al Concilio Ecumenico, sia da parte di quanti si sradicano dall’humus ecclesiale corrompendo la genuina dottrina della Chiesa; entrambi gli atteggiamenti sono segno di indebito e forse inconscio soggettivismo, quando non sia pur troppo di ostinazione, di caparbietà, di squilibrio; posizioni queste che feriscono al cuore la Chiesa, Madre e Maestra.
Ma vi è anche un altro pericolo da sottolineare e da evitare: il pluralismo male inteso. Nella nostra Lettera Apostolica «Octogesima Adveniens» abbiamo ricordato che «spetta alle comunità cristiane individuare - con l’assistenza dello Spirito Santo, in comunione con i Vescovi responsabili . . . - le scelte e gli impegni che conviene prendere per operare le trasformazioni sociali, politiche ed economiche che si palesano urgenti e necessarie in molti casi» (PAULI PP. VI Octogesima Adveniens: AAS 63 (1971) 403). Ma non si deve peraltro dimenticare che - e lo sottolineiamo in risposta ad autorevoli richieste, che ci sono state insistentemente rivolte – gli sforzi di ricerca e di promozione di un miglioramento della situazione della società debbono sempre essere opportunamente coordinati e sapientemente regolati e conformati alle esigenze del vero bene dell’intera comunità. A tale scopo, i singoli Vescovi hanno il dovere, nell’opera svolta al riguardo nelle proprie diocesi, di conservare con i loro Confratelli stretta comunione, unità di dottrina e piena concordia di indirizzo pastorale, affinché la loro azione risulti chiara ed efficace. Il coordinamento, infatti, dell’azione comune, normalmente attuato nell’ambito delle singole Conferenze Episcopali, è necessario non solo alla tutela dei principii dell’ordine etico e religioso, ma anche della loro applicazione ai casi concreti, nella sfera temporale (Cfr. IOANNIS XXIII Pacem in Terris: AAS 55 (1963) 300 ss.).
Si tratta cioè di una coesione interna, senza la quale non si può avere efficacia di applicazioni e continuità di frutti, pena l’infedeltà all’unità e alla verità della fede oppure la condanna alla sterilità inconcludente o all’attivismo esteriore senza coordinazione, e spesso senza benefica incidenza, né durata alcuna. E tale coesione richiede grandi virtù: anzitutto quella oboedientia et pax, che il motto del Baronio, ripreso con eco di tanto favore dal nostro Predecessore Giovanni XXIII, a tutti ricorda con straordinario effetto. Ma non solo: occorre aggiungere la collaborazione, il fervore di spirito, l’umiltà della mente, la generosità dell’impegno, la purezza dell’intenzione, la coerenza delle opere.
PRIMATO DELLA VITA INTERIORE
Ecco allora, come continuazione e completamento di quanto abbiamo finora detto: fra i bisogni odierni della Chiesa, pare a noi ancora necessario ribadire oggi la indispensabile necessità e priorità di solide virtù interiori e personali. La Chiesa non si costruisce certo con la retorica, né con la ricerca della notorietà, o con i condizionamenti del pubblico favore o dell’applauso altrui. Chi si contentasse di queste cose, costruirebbe per sé sulla labile sabbia (Cfr. Matth. 7, 26 ss.), e non edificherebbe certo la Chiesa. L’Anno Santo, che abbiamo celebrato, ha costituito in merito uno straordinario richiamo, sia per l’esempio di preghiera e di interiorità dato dai pellegrini, sia per l’insegnamento di quelle grandi, attuali, umanissime figure di Santi e di Beati, che abbiam proposte alla venerazione dell’intera famiglia umana. È stato un invito suadente e ripetuto alla vita interiore, personale, religiosa, esemplare: un sottolineare che soltanto nella ricerca sincera di Dio, fatta con la preghiera, con la penitenza, con la metánoia di tutto l’essere, si possono assicurare i successi veri della vita cristiana e apostolica, e mettere in pratica il primo e sempre vivo appello del Signore alla santità: «Impletum est tempus, et appropinquavit regnum Dei; paenitemini et credite evangelio» (Marc. 1, 15). «Estote ergo vos perfecti sicut et Pater vester caelestis perfectus est» (Matth. 5, 48).
Il mondo di oggi ha bisogno di questa presenza e di questa testimonianza da parte dei cristiani: è un mondo che rischia di crollare sotto le sue stesse contraddizioni: il folle consumismo e le stridenti disparità sociali, la violenza distruggitrice delle istituzioni e l’apparente impotenza a porvi rimedio, la velleità dei propositi e l’abulia nel metterli in pratica, la pornografia ammantata di istanze cosiddette «liberatrici» e messa al servizio di giganteschi sfruttamenti economici, la droga, ecc. Nell’imperversare di interessi contrastanti, dannosi al vero bene dell’uomo, occorre proclamare di nuovo alte le grandi parole del Vangelo, che, sole, han dato luce e pace agli uomini, in altri analoghi sconvolgimenti della storia.
È IN OPERA LA «CIVILTÀ DELL’AMORE»
Una parola particolarmente vibrante per le presenti necessità della Chiesa vogliamo che sia quella della speranza, della fiducia. Sì, noi abbiamo fiducia. È vero che la Chiesa attraversa un momento difficile: foris pugnae, intus timores (2 Cor. 7, 5). Ma non è sempre stato tosi? Quando mai la Chiesa non ha sofferto? E quando, e dove ha sofferto, non ne sono forse scaturiti sempre frutti più luminosi e più lieti? E cioè: la maturazione della fede, la purificazione degli spiriti, la maggior presa di coscienza delle proprie responsabilità, l’aumento delle vocazioni, la crescita della vita sacramentale, la fioritura dei santi? È vero che, come abbiam detto, oggi un germe di disunione è entrato insensibilmente in talune frange della comunità ecclesiale; è vero che il dubbio e l’equivoco si sono infiltrati qua e là; è vero che la Chiesa soffre in certi Paesi per la mancanza di libertà religiosa. Ma non è men vero che è in opera la «civiltà dell’amore», quella che abbiamo auspicato come frutto dell’Anno Santo.
Ebbene, noi abbiamo speranza, noi abbiamo fiducia. Sappiamo che i nostri figli, specie quelli provati, sapranno soffrire e perseverare: «si exprobramini in nomine Christi, beati eritis» (1 Petr. 4, 14); «etsi quid patimini propter iustitiam, beati!» (Ibid. 3, 14). Questa fiducia nasce dalle promesse divine: sia perché lo Spirito Santo è nella Chiesa, è l’anima della Chiesa, e la vivifica e sorregge e guida, e non l’abbandona perché la Chiesa è sua; sia perché è vera la parola di Gesù: «Ecco, io sono con voi, tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Matth. 28, 20). «Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa» (Ibid. 16, 18). La fedeltà dei più, il desiderio di autenticità, di preghiera, di carità operosa, che si nota in tutti gli strati e soprattutto nei giovani; i segni di una consolante ripresa nelle vocazioni sacerdotali e religiose; il fervore e l’animazione missionaria; tutto ciò fa presagire bene per l’avvenire.
IL RAPPORTO TRA LA CHIESA E I POTERI CIVILI
Queste considerazioni sui problemi interni della vita della Chiesa nei nostri giorni non possono farci dimenticare che altri vi sono, ad Essa esterni e che pure influiscono, in misura considerevole talvolta, sulle possibilità di azione e sulla stessa esistenza nell’uno o nell’altro Paese, in un determinato periodo storico: problemi derivanti dal rapporto che intercorre fra la Chiesa e i poteri civili.
Di tale rapporto la storia bimillenaria della Chiesa nelle varie regioni del mondo ha conosciuto molteplici forme: da quelle iniziali dell’ostilità aperta e della persecuzione violenta - che si sono ripetute tanto spesso nel corso dei secoli e si ripetono purtroppo anche ai nostri giorni, se anche con modalità diverse -, a quelle della lotta subdola o dell’indifferenza, e poi sino al rapporto di buona intesa o di amicizia e di mutua collaborazione.
La Chiesa - l’ha ricordato con particolare insistenza il recente Concilio Ecumenico Vaticano II - non ripone la sua vera fiducia negli aiuti umani o nei sussidi del potere dello Stato, ma in Dio, nel suo Spirito che la vivifica e nella presenza, che le è stata assicurata, sino alla fine dei secoli, dal proprio Fondatore, il Quale può addirittura trarre dalle prove e dalle persecuzioni elementi di forza e di progresso. Essa non chiede per sé tutela speciale o situazione di privilegio.
La Chiesa ha solo bisogno e desiderio di giusta libertà. Essa la chiede per sé, la libertà del bene, per diritto proprio e congenito; la chiede per i suoi figli, come per tutti gli uomini, in nome dei diritti sacrosanti e inalienabili della persona umana, della sua dignità, della sua vocazione divina a realizzarsi in pienezza di verità e nell’esercizio di quella responsabilità che nessun potere umano, né la società, né lo Stato possono rapirle.
Principii, questi ultimi, che trovano sempre maggiore accoglimento ed affermazione nelle Carte fondamentali delle singole Nazioni e della Comunità internazionale, senza ricevere, però, altrettanto fedele applicazione nella prassi, e talvolta nella stessa legislazione, di non pochi Paesi.
Se ora consideriamo il panorama che, sotto questo profilo, è dato di contemplare nel mondo, in particolare per quel che riguarda la Chiesa Cattolica e la religione di Cristo, si deve purtroppo rilevare che molte sono le situazioni di limitazioni, di insufficienze e, spesso, di aperta ingiustizia, che esigono deplorazione e denuncia.
Non abbiamo bisogno di ricordare qui nei particolari le storie recenti o tuttora attuali alle quali facciamo allusione: storie di passione e di tanti eroismi. Se le ricordiamo, sia pur soltanto per accenno, è per evitare l’impressione che la Santa Sede le abbia dimenticate o accettate con il passare dei decenni; e soprattutto per assicurare ai nostri figli che ne sono stati e continuano ad esserne vittime, che non ci è ignota la loro fedeltà e che sempre abbiamo presenti le loro nascoste sofferenze, così come ne condividiamo le speranze e le preghiere.
PROVE E DIFFICOLTÀ
A volte le prove della Chiesa sono legate a situazioni generali che non hanno direttamente a che vedere con la religione, la quale tuttavia ne subisce dolorosamente e pericolosamente i contraccolpi: così come quando difficoltà di ordine interno, o connesse con lotte intestine o fra popoli confinanti, fanno ricadere sospetti e causano limitazioni all’azione della Chiesa, anche se questa, e in particolare quella dei missionari, che per la loro provenienza da Paesi stranieri vi sono più esposti, restringe la sua azione al campo puramente religioso e spirituale.
REGIMI MARXISTI
Ma il fenomeno che negativamente e caratteristicamente ha influenzato tanta parte del rapporto fra Chiesa e Stato, fra religione e società civile, negli ultimi decenni, in vaste regioni dell’Europa e dell’Asia, alle quali altre se ne sono poi aggiunte, se pur assai meno numerose ed estese, in Europa, in America e in Africa, è stato l’arrivo al potere da parte di forze politiche che hanno iscritto nella loro base ideologica e nel loro programma pratico - segnatamente in quello cosiddetto strategico - la liberazione, a loro dire, dell’umanità da quella che essi chiamano l’alienazione religiosa.
La Storia di questi rapporti, simili nelle movenze e nelle motivazioni, pur nelle diversità imposte o consigliate dalle differenze delle concrete situazioni, è sufficientemente nota - almeno nelle sue linee essenziali - anche per essere tanto recente, anzi contemporanea.
Durante tutto il nostro Pontificato noi abbiamo seguito la storia di questi rapporti, non solo con l’interesse appassionato e con la trepidazione che ci dettavano il nostro ministero e l’amore che portiamo alla Chiesa e agli stessi Paesi che ne sono stati e ne sono teatro, ma anche con l’impegno di correggerne il corso nel senso della giustizia: innanzitutto con la preghiera, alla quale nuovamente invitiamo l’intera Comunità cristiana, e poi con la trattativa o con il dialogo, come è in uso di dire: un dialogo condotto dai nostri immediati e valenti collaboratori, attivo e instancabile, paziente e franco, tanto fermo nell’affermazione dei principii e del buon diritto della Chiesa e dei credenti, quanto pronto alle intese oneste e leali con essi conciliabili.
Non è nostro intento fare oggi, qui, dei bilanci, che d’altra parte solo in una prospettiva storica, illuminata cioè da quella che si suole chiamare la filosofia, ed ancor più la teologia, della storia, è possibile tentar di tracciare correttamente.
Solo vorremmo, nel confermare l’impegno nostro e della Chiesa, fondato più sulle speranze e promesse divine e sulla carità verso tutti che sulle persuasioni della sapienza o delle forze umane, dar pubblica voce alla pena che abbiamo nel cuore per il fatto che qualche vasta porzione del mondo retta da regimi marxisti continua a rimanere chiusa, non diciamo ad intese, ma allo stesso contatto con questa Sede Apostolica.
Possano questi nostri sentimenti trovare un’eco che apra al momento opportuno nuovi cammini ad incontri che, nella nostra convinzione e nei nostri intenti, sarebbero diretti non solo all’utilità della Chiesa, ma altresì alla collaborazione in servizio delle grandi cause che associano, nei timori, nelle aspirazioni, nelle responsabilità, tutti i popoli, grandi e piccoli, del mondo.
PENSIERO ACCORATO ALLE POPOLAZIONI SOFFERENTI
In questi incontri che, per la ricorrenza del nostro giorno onomastico, si ripetono alla metà dell’anno, era nostra abitudine dare uno sguardo sommario, oltre che alla vita e ai problemi della Chiesa, anche alle situazioni più significative della vita internazionale o delle singole Nazioni.
Ce ne manca oggi il tempo. Ma ci parrebbe di venir meno al nostro dovere di Padre se non dessimo, per lo meno, espressione alla nostra partecipazione di cuore e di preghiera - e, là dove ci e consentito, anche di azione - alle sofferenze delle popolazioni e alle difficoltà per eque e pacifiche soluzioni che continuano a turbare Paesi geograficamente a noi vicini o lontani, sia nell’ancor sempre tormentata Irlanda del Nord, sia anche nel territorio eritreo, o nella zona australe dell’Africa, e specialmente - proprio in questi giorni - nell’Africa del Sud.
Un pensiero accorato, ma non senza il conforto di qualche nuovo motivo di speranza, vogliamo rivolgere in modo particolare al Libano a noi sempre carissimo. Ad esso associamo l’intera regione medio-orientale con tutte le sue popolazioni, cristiane e non cristiane, affratellate tutte, però - così dovrebbe essere -, dall’invocazione all’unico Dio che è comune alle tre grandi Religioni monoteiste.
Che questa invocazione, la quale sgorga in ogni parte del mondo da tanti cuori sinceri, valga a spegnere con l’amore i sentimenti dell’odio che dividono sulla terra i figli dello stesso Padre e Creatore che è nei Cieli e aiuti a trovare le vie della comprensione e della pace!
Noi tutti esortiamo alla pace; e, per parte nostra, continuiamo a scrutare i segni dell’alba nella notte, come vi dicemmo qui, nel Concistoro: e il Signore ci sostiene nella nostra speranza. Ci conforta Maria, Madre della Chiesa, con la sua continua intercessione; ci conforta Pietro, di cui raccogliemmo or sono tredici anni l’eredità gravissima ed esaltante; ci conforta Giovanni Battista, di cui portiamo il nome, e che umilmente abbiam seguito fin qui, e sempre vorremo seguire, nell’indicare al mondo, come ha fatto Lui, che Cristo è la sola salvezza, la sola speranza, la sola liberazione: «Ecce Agnus Dei, ecce qui tollit peccatum mundi! . . . Ego . . . testimonium perhibui, quia hic est Filius Dei» (Io. 1, 29. 34).
Con la nostra Apostolica Benedizione.
Copyright © Dicastero per la Comunicazione - Libreria Editrice Vaticana