DISCORSO DEL SANTO PADRE PAOLO VI
AL NUOVO AMBASCIATORE D’ITALIA
PRESSO LA SANTA SEDE*
Lunedì, 12 dicembre 1977
Signor Ambasciatore,
Le nobili, deferenti parole che Ella ci ha testé rivolte all’atto di presentare le Lettere Credenziali di Ambasciatore Straordinario e Plenipotenziario della Repubblica Italiana presso la Santa Sede, destano nel nostro animo, quale risposta immediata e spontanea, sentimenti di viva riconoscenza per quel che ha voluto dire della nostra Persona, e di non meno viva compiacenza per le disposizioni con cui Ella si accinge a svolgere la sua alta missione.
La presentazione delle credenziali non è certo un atto o un adempimento puramente formale, ma segna una tappa significativa nell’iter delle relazioni bilaterali tra Stati o enti Sovrani. Noi riteniamo che un incontro del genere non sia mai vuota cerimonia, e che men che mai lo sia nel caso presente, tanto molteplici e singolari sono i vincoli che uniscono l’Italia alla Santa Sede e tanto stretta è l’interconnessione che sussiste tra la «Sedes Beati Petri», incentrata su Roma, e lo Stato Italiano, di cui è capitale la stessa Città.
Ella ha evocato al Nostro sguardo, Signor Ambasciatore, un’Italia protesa - com’è nelle aspirazioni dei suoi figli generosi e geniali - a trovare le vie di un più elevato sviluppo, culturale e civile, come di una giustizia e di una sicurezza aderenti alle legittime aspettative delle forze sociali che vi operano; intenta, inoltre, a perseguire forme di più organica unione con i Paesi della Comunità Europea e rapporti fecondi di amicizia, di pace e di cooperazione con le altre Nazioni del mondo.
Di fronte a questa immagine di un’Italia moderna, matura, dinamica, la Santa Sede non può che esprimere il suo compiacimento, spronandola a fare offerta agli altri popoli - come in passato, e più che in passato - di quell’incomparabile patrimonio di sapienza, di equilibrio, di bontà, di fede, di cui è portatrice nel mondo.
Ella non ha mancato tuttavia di fare un accenno alle difficoltà create anche nel momento presente, dalla non facile congiuntura economica che investe praticamente tutti i Continenti. Per parte Nostra, Noi non possiamo tacere, con una preoccupazione che è manifestazione del Nostro particolare interesse e del Nostro affetto, di altri fattori che, come in particolare le ripetute manifestazioni di violenza, rendono meno serena la vita dell’Italia e meno sicuri gli auspicati suoi progressi verso mète ognor più avanzate di tranquillità nella concordia dei cittadini, di benessere nella fattiva collaborazione delle distinte componenti della società, di sicurezza nella salda fedeltà ai valori morali che stanno alla base della condotta individuale e della compagine familiare e sociale.
Tanto più vivo e cordiale è il nostro auspicio che l’Italia sappia presto e con positivo esito superare il difficile momento presente e trovare le vie di una sempre più ordinata e pacifica convivenza civile, rispettosa dei diritti e dei legittimi interessi di tutti, e per tutti benefica.
La Sua Missione presso di Noi, Signor Ambasciatore, ha inizio mentre sono nel loro pieno i lavori intesi a predisporre di comune consenso, quelle modificazioni del vigente Concordato fra l’Italia e la Santa Sede che si rivelino opportune o necessarie in considerazione della evoluzione politica e sociale verificatasi in Italia, particolarmente dal momento in cui essa, approvando la sua nuova Costituzione, aveva confermato solennemente il riconoscimento dei Patti Lateranensi quale norma dei rapporti fra lo Stato e la Chiesa.
Condividiamo l’auspicio che le trattative in corso - nelle quali la Santa Sede si è sforzata di procedere in fedeltà allo spirito del Concilio Vaticano II - possano sollecitamente giungere ad una conclusione soddisfacente, nell’esercizio di quel dialogo al quale tanta importanza annettemmo sin dall’inizio del Nostro Pontificato, ad esso dedicando la prima Nostra Lettera Enciclica (Cfr. PAULI PP. VI Ecclesiam Suam: AAS 56 (1964) 637 ss.).
È attuale ai nostri giorni, è tuttora valido il dialogo? Noi rispondiamo affermativamente; ma, forse, esso si è fatto più difficile. Così è da pensare, se teniamo presenti gli eventi e i mutamenti, di ordine e di segno diverso, che si sono verificati sotto l’incalzare di un moto di trasformazione che sembra aver investito, prima che le persone e le cose, i costumi e le mentalità. Eppure, questa riconosciuta maggiore difficoltà del dialogo non ci esime dal dovere di coltivarlo. Dialogo è, infatti, colloquio che stimola le facoltà spirituali; è sforzo leale d’intesa; è volontà, anzi buona volontà di giungere ad un accordo; e accordo - come amava spiegare ed inculcare nelle sue lezioni un non dimenticato maestro ed operatore del diritto, che fu anche uomo di fede profonda, il prof. Francesco Carnelutti – è incontro di cuori («cor ad cor»), cioè armonia che si stabilisce tra le persone e che precede, quale suo indispensabile substrato morale ed umano, ogni pattuizione giuridica. Se c’è dialogo, se c’è questa interiore attitudine, allora è possibile la composizione delle questioni anche se intricate, e prevalente - come nel caso dei rapporti tra Stato e Chiesa - diviene il doveroso riguardo al bene comune di quanti - cittadini e fedeli - appartengono, ad un tempo, all’una e all’altra società. Allora la comunità ecclesiale e quella civile si incontrano, con reciproco vantaggio, per intendersi e per collaborare ad un servizio, che si rivolge agli stessi destinatari.
Noi vogliamo augurare all’Italia un avvenire di prosperità, di coesione, di esemplarità nella famiglia internazionale dei popoli, anche per corrispondere alla situazione davvero unica che le è stata riservata, di ospitare - nel cuore del suo territorio - il centro e il cuore dell’orbe cattolico.
Noi vogliamo augurare alla Chiesa ch’è in Italia una crescita tale che gli elementi costitutivi della sua fede e della sua tradizione cattolica si risolvano a beneficio della stessa vita civile e, perciò, di tutti i cittadini.
Noi vogliamo altresì augurare che siano mantenute ed abbiano, anzi, sviluppo coerente, equilibrato, fruttuoso le pacifiche relazioni fra questa Sede Apostolica e l’Italia.
E ci piace suggellare questo triplice auspicio invocando su questa Terra, da Dio amata e privilegiata, l’effusione continua dei suoi favori, in pegno dei quali impartiamo all’intera Nazione Italiana, al suo Capo come a Lei, che ne è degno rappresentante, l’Apostolica Benedizione.
*AAS 70 (1978), p.124-124;
Insegnamenti di Paolo VI, vol. XV p.1194-1197;
L’Attività della Santa Sede 1977, p.398-400;
OR 12-13.12.1977, p.1, 2.
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