DISCORSO DEL SANTO PADRE PAOLO VI
IN OCCASIONE DEL CONCISTORO
PER LA NOMINA DI QUATTRO CARDINALI
Lunedì, 27 giugno 1977
Ringraziamo di cuore il Cardinale Sotto-Decano per le parole, animate da esemplare fedeltà e devozione, che ci ha testé rivolte. Esse bene esprimono i sentimenti di tutti voi, Venerati Fratelli nostri, che ci fate corona in questo Concistoro. E certamente interpretano i sentimenti, a noi ben noti, del venerato Cardinale Decano, Luigi Traglia, al quale va il nostro pensiero affettuoso, accompagnato dalla preghiera affinché il Signore gli sia vicino e lo conforti nella sua grave infermità.
Oggi, nuovi membri - servitori eletti della Chiesa e in vari e gravi ministeri - saranno aggregati al Sacro Collegio: una gioia sincera accomuna i nostri cuori per questo segno eloquente di vitalità e di fedeltà.
Il Concistoro è circostanza solenne nella vita della Chiesa: i Cardinali, stretti intorno al Papa, esprimono anche visibilmente l’unità che la fa vivere: questo è un momento privilegiato nella vita della Chiesa, perché il Successore di Pietro si trova insieme con i suoi più stretti collaboratori e consiglieri, espressione di collegialità episcopale, ad essi confida le sue sollecitudini pastorali e universali, e tratta con loro dei problemi ecclesiali che più gli stanno a cuore.
I
Anzitutto un profondo ringraziamento a Dio, che il compimento di un nuovo anno di Pontificato rende più commosso. Il Papa si sente sostenuto dall’affetto, dalla preghiera, dalla cooperazione di tutte le componenti della Chiesa: Vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose, famiglie, associazioni cattoliche, fedeli tutti. È una grande corrente di fede e di comunione, che non può non rendere pensosi anche i distratti e i lontani, e a noi ispira sentimenti di fiducia, di serenità, di ottimismo, basati sulla parola di Cristo: «Ego sum, nolite timere» (Matth. 14, 27); «Confidite!» (Marc. 6, 50; cfr. Io. 16, 33); «Vobiscum sum» (Matth. 28, 20).
Prima di gettare uno sguardo su problemi più vasti, ci piace ricordare un evento che interessa da vicino la diocesi romana, quella Sede, cioè, per cui siamo legati per divina disposizione al governo e alla responsabilità della Chiesa universale. Ne parliamo ancora a voi, venerati Fratelli nostri, perché, a strettissimo titolo, siete membri di questa stessa Chiesa di Roma, ad essa incardinati in virtù di quel Titolo, che vi rende partecipi per eccellenza del presbiterio romano e, come tali, «gaudium meum et corona mea»! (Phil. 4, 1). Vogliamo alludere alla riforma del Vicariato, attuata il 6 gennaio scorso mediante la Costituzione Apostolica «Vicariae Potestatis». Come dicemmo nella splendente cornice della Cattedrale di Roma, per la promulgazione della riforma del Vicariato, questa, oltre che atto di piena fiducia nei nostri diretti collaboratori - in primo luogo il nostro Cardinale Vicario -, ha voluto «mettere in più chiara luce il naturale legame che esiste tra la persona del Papa, Vescovo di Roma, e la sua diocesi, con la conseguente necessità della comunione dottrinale e pastorale con lui di tutta la comunità diocesana» (PAULI PP. VI Vicariae Potestatis in Urbe: AAS 69 (1977) 55). La partecipazione di tutte le componenti della nostra diocesi è stata poi definita e precisata attentamente nei suoi compiti di collaborazione, di coordinamento, di corresponsabilità, stimolando ciascuna, nell’ambito suo proprio, all’impegno sia della animazione cristiana della Città secondo gli orientamenti nati dal Concilio e dal Post-Concilio, sia della promozione umana, che il colossale sviluppo dell’Urbe postula a tutti i livelli. Né è mancato il riordinamento dei Tribunali secondo una visuale più consona alle odierne esigenze.
Noi tanto ci aspettiamo da questa riforma diocesana per il rinvigorimento costante della pastorale nella Città ch’è nostra a titolo particolare, e che deve rifulgere davanti a tutta la Chiesa come centro operante, fervoroso e ordinato di autentica vita cristiana.
II
In questo momento sentiamo altresì il bisogno di gettare uno sguardo sull’intera Chiesa che Cristo ci ha affidata come pegno supremo del suo amore: «Pasce agnos meos; pasce oves meas» (Io. 21, 15 ss.). Il Papa, come una vigile sentinella, ha sotto gli occhi la Chiesa di Cristo, viva nella fede, unita nella lode a Dio, pulsante nella carità.
La Chiesa è sempre il «signum levatum in nationibus procul» (Cfr. Is. 5, 26; 11, 12); eccone alcuni segni eloquenti:
1. presenza operante nel mondo, specie dove il bisogno reclama l’intervento della sua carità;
2. lo sforzo missionario, che non abbiamo mancato di illustrare e di stimolare in diverse occasioni;
3. incremento delle vocazioni abbastanza sensibile in vari paesi, che deve fare attenti i nostri diletti sacerdoti a cogliere i segni della vocazione nell’animo degli adolescenti e dei giovani per far brillare davanti ad essi l’attraente e severa bellezza di una vita totalmente consacrata a Dio e al prossimo, con animo indiviso;
4. la testimonianza della coerenza e del lievito evangelico in mezzo ai problemi più scottanti che l’individualismo e l’edonismo di oggi le pongono davanti come una sfida;
5. l’opera di soccorso e di promozione sociale, svolta in varie circostanze di cataclismi naturali e di umane sofferenze, e specialmente a favore delle giuste e indilazionabili esigenze dei Paesi emergenti: e a questo proposito ci piace anche qui menzionare che si è compiuto di recente il decimo anniversario della «Populorum Progressio», mentre ringraziamo di quanto è stato fatto per ricordare il significato, la portata, gli intenti di quel documento, la cui attuazione ci sta tanto a cuore;
6. i contatti instancabili con le Autorità civili per garantire, confermare e incrementare la libertà di annunciare il Vangelo per gli Episcopati nei singoli Paesi, e tutelare la sfera di azione della Chiesa: in questa luce si collocano i continui incontri del Papa con uomini di Stato e della vita internazionale, come pure l’accreditamento degli Ambasciatori presso la Sede Apostolica.
Tutto si riconduce al noto binomio, nel quale la Chiesa si sente oggi particolarmente impegnata: evangelizzazione e promozione umana.
III
Un punto particolare della vita della Chiesa attira oggi di nuovo l’attenzione del Papa: i frutti indiscutibilmente benèfici della riforma liturgica. Dalla promulgazione della Costituzione conciliare «Sacrosanctum Concilium» è avvenuto un grande progresso, che risponde alle premesse poste dal movimento liturgico dello scorcio finale del sec. XIX, e ne ha adempiute le aspirazioni profonde, per cui tanti uomini di Chiesa e studiosi hanno lavorato e pregato. Il nuovo Rito della Messa, da noi promulgato dopo lunga e responsabile preparazione degli organi competenti, e nel quale sono stati introdotti, accanto al Canone Romano, rimasto sostanzialmente immutato, altre eulogie eucaristiche, ha portato frutti benedetti: maggiore partecipazione all’azione liturgica; più viva consapevolezza dell’azione sacra; maggiore e più ampia conoscenza dei tesori inesauribili della Sacra Scrittura; incremento del senso comunitario nella Chiesa.
Il corso di questi anni dimostra che siamo nella via giusta. Ma vi sono stati, purtroppo - pur nella grandissima maggioranza delle forze sane e buone del clero e dei fedeli - abusi e libertà nell’applicazione. È venuto il momento, ora, di lasciar cadere definitivamente i fermenti disgregatori, ugualmente perniciosi nell’un senso e nell’altro, e di applicare integralmente nei suoi giusti criteri ispiratori, la riforma da Noi approvata in applicazione ai voti del Concilio.
- Ai contestatori che, in nome di una mal compresa libertà creativa, hanno portato tanto danno alla Chiesa con le loro improvvisazioni, banalità, leggerezze - e perfino con qualche deplorevole profanazione -Noi chiediamo severamente di attenersi alla norma stabilita: se questa non venisse rispettata, ne potrebbe andare di mezzo l’essenza stessa del dogma per non dire della disciplina ecclesiastica, secondo l’aurea norma:«lex orandi, lex credendi». Chiediamo fedeltà assoluta per salvaguardare la «regula fìdei». Siamo certi che, in quest’opera, ci sovviene l’instancabile, oculata, paterna azione dei Vescovi, responsabili della fede e della preghiera nelle singole diocesi.
- Ma con pari diritto ammoniamo coloro che contestano e si irrigidiscono nel loro rifiuto sotto il pretesto della tradizione, affinché ascoltino com’è loro stretto dovere, la voce del Successore di Pietro e dei Vescovi, riconoscano il valore positivo delle modificazioni «accidentali» introdotte nei sacri Riti (che rappresentano vera continuità, anzi spesso rievocazione dell’antico nell’adattamento al nuovo), e non si ostinino in una chiusura preconcetta, che non può essere assolutamente approvata. Li scongiuriamo, in nome di Dio: «Obsecramus pro Christo, reconciliamini Deo» (2 Cor. 5, 20).
IV
Queste raccomandazioni che ci scaturiscono dal cuore, vogliono sottolineare la sentita necessità di quell’unità della Chiesa, di cui abbiamo parlato all’inizio di questa Allocuzione.
Intendiamo anzitutto l’unità nella carità. Alla vigilia dell’Anno Santo, Noi lanciammo un pressante appello alla riconciliazione all’interno della Chiesa (Cfr. PAULI PP. VI Paterna cum Benevolentia, 8 dec. 1974: AAS 67 (1975) 5-23). Crediamo necessario d’insistere nuovamente su quell’appello, poiché, ci sembra, il gregge tende talora a dividersi, e i membri della Chiesa subiscono la tentazione del mondo di opporsi fra di loro. Ora, è nell’ardore posto nella ricerca dell’unità che si riconoscono i veri discepoli del Cristo; è nell’armonia di sentimenti fraterni, ispirati a umiltà, a mutuo rispetto, a benevolenza, a comprensione, che le comunità cristiane riflettono il vero volto della Chiesa, mentre invece lo spettacolo delle divisioni nuoce alla credibilità del messaggio cristiano. Noi ci rivolgiamo pertanto a tutti i nostri figli affinché sian banditi dall’interno della Comunità ecclesiale quei motivi di critica corrosiva, di divisione degli animi, di insubordinazione all’autorità, di sospetto reciproco che talora han potuto paralizzare energie spirituali ricchissime e trattenere il moto di conquista della Chiesa a favore del Regno di Dio. Desideriamo che tutti si sentano a proprio agio nella famiglia ecclesiale, senza preclusioni o isolamenti nocivi all’unità nella carità, e che non si cerchi il prevalere di alcuni a detrimento di altri. «Cor unum et anima una» (Act. 4, 32). Come i cristiani della prima comunità madre di Gerusalemme, sotto l’ombra di Pietro, dobbiamo lavorare, pregare, soffrire, lottare per dare testimonianza a Cristo Risorto, «usque ad ultimum terrae» (Ibid. 1, 8).
Ma il Cristo ha voluto che questa unità nella carità non sia mai disgiunta dall’unità nella verità, senza di cui la prima potrebbe allearsi ad un pluralismo insostenibile o ad un indifferentismo esiziale. La «regula fidei», alla quale abbiamo già accennato, esige questa perfetta coesione nella fedeltà alla Parola di Dio, senza che sia mai offuscata la pura sorgente di verità, zampillante dalla Trinità Santissima e comunicata agli uomini da Cristo, Figlio di Dio e Figlio dell’uomo, la Pietra d’angolo su cui si fonda la Chiesa; né mai si interrompa la continuità che ha tramandato quella Rivelazione nei secoli con immutata fedeltà, e ne ha tratto dal di dentro i tesori in essa nascosti, in continuo approfondimento, ma «eodem sensu eademque sententia» (S. VINCENTII LIRINENSIS Commonitorium, 23).
Ma chi secondo l’insegnamento stesso di Cristo, e secondo la costituzione immutabile della Chiesa, è responsabile del giudizio da emettere circa la fedeltà al deposito della fede, circa la conformità di una dottrina o di una regola di condotta con la tradizione vivente della Chiesa? È il Magistero autentico, che emana dalla Sede Apostolica e dall’insieme dei Pastori in comunione con essa. Tale è sempre stata, fin dalle origini, la pietra di paragone della verità, si tratti di fede o di morale, della disciplina dei sacramenti, degli orientamenti più importanti della pastorale per l’annuncio del Vangelo nel mondo.
È ben necessario oggi ricordare questo, dal momento che certune interpretazioni dottrinali mettono in pericolo la fede di credenti non sufficientemente maturi o preparati. Come già abbiam fatto, trattando degli abusi nella liturgia, Noi siamo certi che i Vescovi vigilano incessantemente su questo punto; e tutti noi invitiamo caldamente, Vescovi, sacerdoti, religiosi e fedeli, a operare unanimi per l’unità nella verità.
Ed esprimiamo ancora, col cuore pieno di tristezza, la sofferenza che ci procurano le illegittime ordinazioni, che un nostro Fratello nell’episcopato recidivamente ha conferito ieri e si accinge a conferire e che noi deploriamo fermamente. Agendo così, egli accentua la sua opposizione personale alla Chiesa e la sua azione di divisione e di ribellione su temi di estrema gravità, nonostante le nostre pazienti esortazioni e la sospensione incorsa con l’interdizione formale a persistere nei suoi propositi contrari alla norma canonica. Sono così posti dei giovani al di fuori del ministero autentico, che sarà loro proibito di esercitare dalla legge sacrosanta della Chiesa: sono trascinati i fedeli, che li seguiranno, in un’attitudine di turbamento, se non addirittura di rivolta fortemente pregiudizievole ad essi stessi e alla comunione ecclesiale. Quali ne siano i pretesti, ciò costituisce una ferita inferta alla Chiesa, una di quelle che San Paolo condannava così severamente. Noi supplichiamo quel nostro Fratello: voglia porre attenzione alla frattura che egli opera, al disorientamento che arreca, alla divisione che introduce, con gravissima responsabilità. I nostri Predecessori alla cui disciplina egli presume di appellarsi, non avrebbero tollerato tanto a lungo, quanto noi pazientemente abbiam fatto, una disobbedienza altrettanto ostinata quanto dannosa. Vi chiediamo di pregare con noi lo Spirito Santo affinché illumini le coscienze.
Cristo ha voluto la sua Chiesa una, santa, cattolica e apostolica. Ma se si infrange l’unità, da una parte o dall’altra, un’ombra si diffonde sulla intera realtà ecclesiale nelle sue note costitutive. Per l’unità Cristo ha pregato (Io. 17, 20-26); per l’unità ha dato la vita: «Iesus moriturus erat . . . ut filios Dei, qui erant dispersi, congregaret in unum» (Ibid. 11, 51 ss.); l’unità Egli ha affidato alla Chiesa nascente, perché fosse testimone unanime della Parola di Dio e della sua salvezza davanti al mondo e per il mondo.
Questa unità, che la Chiesa Cattolica custodisce intatta, noi raccomandiamo instantemente a tutti i nostri Fratelli e figli. Nella imminenza della Solennità dei SS. Apostoli Pietro e Paolo, colonne della Chiesa per la quale han dato la vita, noi ne affidiamo loro la tutela; invochiamo per questo l’intercessione della Madonna, Mater Ecclesiae. E chiedendo la generosa, consapevole, attiva cooperazione di tutti i nostri Fratelli e Figli, impartiamo la particolare Benedizione Apostolica, avvaloratrice di fermi e salutari propositi.
E ora nominiamo Cardinali di Santa Romana Chiesa gli eletti ecclesiastici, che elenchiamo per nome:
Giovanni Benelli, Arcivescovo di Firenze;
Bernardin Gantin, Arcivescovo già di Cotonou;
Joseph Ratzinger, Arcivescovo di Monaco e Frisinga;
Luigi Ciappi, Vescovo tit. di Miseno.
Ad essi aggreghiamo Francesco Tomášek, Vescovo tit. di Buto, Amministratore Apostolico di Praga, il cui nome ci riservammo «in pectore» nel Concistoro dello scorso anno.
L’Allocuzione di Paolo VI
durante il Concistoro Pubblico
Il Concistoro, celebrato stamani nel Palazzo Apostolico secondo la vetusta tradizione, trova in quest’Aula la sua prosecuzione e il suo coronamento. Imporremo tra qualche istante la Berretta ai nuovi Cardinali. E questi salutiamo cordialmente, ormai fatti membri anch’essi del Sacro Collegio.
Salutiamo altresì le delegazioni, qui presenti: Vescovi, Autorità civili e militari, membri del Clero e dei fedeli, venuti a far corona ai nuovi eletti in rappresentanza dei paesi di origine, come delle diocesi di cui tre di essi sono Pastori. Tutti li ringraziamo di esser venuti a questo importante avvenimento ecclesiale.
Ma il nostro ringraziamento va qui anzitutto al Neo-Cardinale Giovanni Benelli, Arcivescovo di Firenze, che ha saputo così bene interpretare i sentimenti che si agitano nell’animo suo e dei suoi Confratelli nell’Episcopato, come nella dignità cardinalizia a cui sono stati chiamati, in questo momento della loro vita.
Il singolare carattere di questa cerimonia finale del Concistoro, ci suggerisce alcune riflessioni su un tema che a noi pare fondamentale, e specifico di questa cerimonia: la fedeltà.
È appunto quanto abbiamo voluto sottolineare nell’indire il Concistoro di quest’anno. Effettivamente, i degnissimi e venerati ecclesiastici che abbiamo testé aggregato al numero dei Cardinali, si distinguono tutti e precipuamente per questa dote: l’assoluta fedeltà, che da essi è stata vissuta, in questo periodo Post-conciliare ricco di fermenti sani ma anche di elementi disgregatori, in una continua disponibilità, in un diuturno servizio, in una totale dedizione a Cristo, alla Chiesa, al Papa, senza flessioni, senza tentennamenti, senza transazioni. Nell’adempimento di delicatissimi incarichi, voi, che da oggi chiameremo nostri venerati Fratelli, avete offerto davanti alla Chiesa intera una testimonianza incomparabile di fedeltà.
Di questa fedeltà siamo lieti di rendere ora pubblico attestato: anzitutto a Lei, Cardinale Benelli che ci è stato tanto vicino fin da tempi lontani, e soprattutto nei dieci anni in cui, come Sostituto della Segreteria di Stato, ha dato operosa esecuzione alla nostra volontà, senza risparmio di tempo e di energie, ininterrottamente, instancabilmente: e se tanto .ci è costato privarci della sua collaborazione, abbiam pensato al bene che ne verrà alla Chiesa di Firenze, alla quale facciam dono delle sue doti, della sua dedizione, del suo spirito di sacrificio.
Diamo egualmente atto di questa fedeltà a Lei, Cardinale Gantin, che, dopo aver servito esemplarmente la sua arcidiocesi nativa di Cotonou, nel Benin (come ora si chiama l’antico Dahomey), in un primo tempo è stato Segretario del Dicastero che promuove la evangelizzazione nel mondo, e ora presiede alla Commissione «Iustitia et Pax», da noi istituita per l’avvaloramento della buona causa della giustizia e della pace, specie a favore dei Paesi emergenti.
Diamo attestato di questa fedeltà anche a Lei, Cardinale Ratzinger, il cui alto magistero teologico in prestigiose cattedre universitarie della sua Germania e in numerose e valide pubblicazioni, ha fatto vedere come la ricerca teologica - nella via maestra della «fides quaerens intellectum» - non possa e non debba andare mai disgiunta dalla profonda, libera, creatrice adesione al Magistero che autenticamente interpreta e proclama la Parola di Dio; e che ora, dalla Sede arcivescovile di Monaco e Frisinga, Ella guida con tanta nostra fiducia un eletto gregge sulle vie della verità e della pace.
E diamo atto a Lei, Cardinale Ciappi, di una fedeltà che è stata sempre per Lei come una seconda natura, e ha ispirato il suo insegnamento presso l’«Angelicum», come Decano della Facoltà di Sacra Teologia, e quindi come apprezzatissimo, umile, autorevole Padre Teologo della Casa Pontificia già con i nostri Predecessori di v. m. Pio XII e Giovanni XXIII, come pure in questi quattordici anni del nostro Pontificato. Il nostro gesto vuol essere premio per questo servizio preziosissimo, e altresì ulteriore riconoscimento dell’Ordine Domenicano, di cui Ella è figlio esemplare.
E infine, quale non è stata la fedeltà del Cardinale Tomášek, che ci rallegriamo di vedere qui in mezzo a noi, dopo di averne pubblicato il nome rimasto «in pectore» fin dal Concistoro del maggio dello scorso anno? La sua lunga e generosa opera di sacerdote e di Vescovo nella dilettissima Cecoslovacchia, con sempre evangelica dirittura e coerenza, doveva così esser da noi segnalata davanti alla Chiesa e alla società civile, come pegno di un domani più sereno e costruttivo.
Pubblicamente vi ringraziamo, venerati Fratelli nostri, dell’esempio di questa meritoria e benefica fedeltà: ma se di ciò abbiamo dato a voi pubblica testimonianza, non vogliamo certo dimenticare le mille e mille vite, che si spendono nel silenzio, nella preghiera, nella fatica, per la gloria di Dio e per il bene dei fratelli: pensiamo alla gioventù sana ed eroica che si mantiene fedele alla Legge divina e agli imperativi della coscienza in mezzo a pericoli di ogni genere; pensiamo ai padri e alle madri di famiglia, che mantengono fede agli impegni del sacramento del matrimonio e fanno dei loro focolari una «piccola Chiesa», una fucina di educazione, una scuola di apostolato; pensiamo ai carissimi seminaristi, che si preparano al sacerdozio nella fedeltà ad un programma austero e letificante di vita interiore, di studio, di autodisciplina; pensiamo a quei generosi sacerdoti, che, nella monotonia di una vita oscura e nascosta, si prodigano nella predicazione della Parola di Dio, nel ministero della riconciliazione, nella cura degli infermi, nella formazione degli adolescenti, nelle opere varie e molteplici dell’apostolato. A tutti il nostro riconoscimento: sì, lo sappiano, noi siamo loro grati, noi li benediciamo, noi li ricordiamo. Questo giorno, che parla a noi tutti di fedeltà, è stupenda occasione per riconoscere e incoraggiare la fedeltà che, in grandissima parte, vive nella Chiesa, senza lasciarsi influenzare dalle novità delle ideologie, dalla smania dell’applauso mondano, dalla ricerca del proprio tornaconto.
Ecco, Fratelli e Figli, il significato che la cerimonia di oggi riveste. Perché anche il giuramento che faranno ora i nuovi Cardinali non è altro che un nuovo e più vasto impegno di fedeltà. Li sentiremo ripetere: «Promitto et iuro, me ab hac hora deinceps, quamdiu vixero, fidelem Christo eiusque Evangelio atque oboedientem beato Petro sanctaeque Apostolicae Romanae Ecclesiae . . . constanter fore». La fedeltà che oggi giurate qualificherà ognor più la vostra attività, la vostra vita: sia come membri eletti del Presbiterio romano, a cui i Titoli a voi assegnati vi stringeranno anche visibilmente; sia come nostri collaboratori in Vari Dicasteri della Curia Romana, cioè particolarmente mancipati al servizio della Sede Apostolica e delle esigenze dell’intera famiglia ecclesiale; sia come responsabili delle diocesi, che ad alcuni di voi sono affidate, e nelle quali svolgerete il triplice dovere pastorale del magistero, del ministero, del governo in qualità di Maestri, di Liturghi, di Pastori, in comunione con questa Cattedra di Pietro, che conta su di voi e sulle vostre Chiese. Come già dicemmo qui, nel Concistoro dello scorso anno, «è come una corrente di vita che fluisce dal centro verso i singoli punti locali, di qui al centro ritorna, in un unico scambio di vitalità e di amore, che manifesta l’intima fecondità ed unità della Chiesa di Cristo» (AAS 68 (1976) 388).
Ci aiuti, in questo proposito, la Madonna «Virgo Fidelis», sempre attenta alla Parola di Dio, e ci insegni a viverla e ad approfondirla. E custodisca l’impegno di tutti la grazia del Signore, a cui ci affidiamo con immensa speranza, con totale fiducia.
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