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DISCORSO DEL SANTO PADRE PAOLO VI
AI VESCOVI DELLE MARCHE IN VISITA «AD LIMINA»

Giovedì, 24 marzo 1977

 

Gaudioso è il saluto che a voi rivolgiamo stamane, venerati Confratelli della Conferenza Episcopale Marchigiana! Esso si apre con l’espressione della riconoscenza verso il vostro Presidente Monsignor Marcello Morgante, che con accenti tanto sinceri ha interpretato i sentimenti di ciascuno di voi, come delle Comunità ecclesiali che vi sono affidate. Desideriamo poi salutare Monsignor Carlo Maccari, Arcivescovo dell’illustre Città capoluogo della Regione, e Monsignor Loris Capovilla che ci richiama (anche questa è una nota gioiosa) la figura del nostro amato Predecessore Papa Giovanni e, in ragione della sede del suo ministero, ci riporta a Loreto, centro eletto della vita religiosa picena. Ma il saluto - s’intende - va distintamente ad ognuno di voi; vedendo dietro a voi il vostro popolo laborioso, equilibrato, temprato e saldo siamo portati quasi naturalmente a fare l’elogio della vostra Regione. Sì, per averle conosciute ed apprezzate attraverso tante persone, in numerose circostanze e per diverse esperienze, noi vogliamo esaltare le tradizioni religiose e civili, che tuttora vi fioriscono, quali autentiche manifestazioni dell’anima popolare. Sono tradizioni in cui la fede cristiana, ricevuta «inde ab initio» forse per una felice convergenza di messaggeri e messaggi provenienti dall’Oriente e da Roma, è ancora immediatamente ravvisabile, e che attestano la probità di fondo, il carattere sano, lo stampo forgiato nell’onestà e nella fedeltà degli uomini di codesta terra.

Siete venuti, Fratelli carissimi, come i Vescovi delle altre Regioni che vi hanno preceduto, per compiere la visita «ad limina». Come in ogni visita, si tratta di un incontro, cioè di un’occasione per parlare, per stare insieme, per scambiarci nel nome di Cristo il bacio santo della carità e della pace. Se da parte vostra essa si attua nella venuta a Roma e in determinati adempimenti e doveri (ad esempio, la relazione da presentare al competente Sacro Dicastero), da parte nostra si esprime nella reciprocità della comunione e nell’apertura a pensieri che ci piace confidarvi. Con quest’incontro, infatti, intendiamo anzitutto onorare l’unione con Roma e, per tale tramite, con la Chiesa universale. Ma, oltre al contatto col fondamento e principio dell’unità della fede (Cfr. Lumen Gentium, 18), la visita «ad limina» serve a rinsaldare i vincoli all’interno della vostra Conferenza: anche noi onoriamo tale unione, che sappiamo già esiste e funziona, unione che tocca non solo le relazioni interpersonali o la sfera dell’amicizia, ma influisce in concreto sul ministero pastorale, traducendosi in frequenti intese, in coordinazione di iniziative, in costante collaborazione, in esemplare dimostrazione di fraterna solidarietà.

E, naturalmente, nella visita intendiamo onorare ogni singolo Pastore: prima che sorgessero le Conferenze Episcopali, che sono un’istituzione recente, la visita consisteva in un incontro diretto, a due del Pastore di ciascuna Diocesi col Vicario di Cristo. Ora questo non è un dato superato, anche se l’evoluzione dei tempi, la complessità dei problemi, il carattere « super-diocesano » di certe situazioni hanno privilegiato, a livello di prassi pastorale, la formula associativa e comunitaria. Non si potrà mai mortificare né snaturare l’esatta e distinta fisionomia che la singola Diocesi, col suo Pastore e col suo Presbiterio, ha nell’ambito della Chiesa universale: non è forse vero che il mistero del Cristo è integralmente presente nella Chiesa particolare, la quale - come c’insegna il Concilio (Cfr. Lumen Gentium, 23) - è formata ad immagine dell’unica sua Chiesa e ne riproduce i lineamenti? Ecco perché - ripetiamo - l’onore è diretto a ciascuno di voi. Nostro desiderio è, perciò, quello di riconoscere l’autorità di ogni Vescovo, di aiutarlo in tutti i possibili modi, di confermarlo nel senso evangelico di questa parola (Cfr. Luc. 22, 32), di confortarne il suo senso di responsabilità, perché vegli sul gregge di cui lo Spirito Santo l’ha costituito Pastore (Cfr. Act. 20, 28). Quante volte, Fratelli, ci sentiamo sopraffatti dalle circostanze, dalle difficoltà, dalle questioni, e siamo quasi tentati di dire: - Io non c’entro; io non posso farci nulla; questo problema va al di là, se non del mio dovere, del mio effettivo potere di intervento! Dobbiamo allora desistere? Oh, no: noi, piuttosto, incoraggiamo il vostro spirito d’iniziativa, stimolandovi ad attingere a quella riserva di generosità che non deve mai mancare. Sappiate conservare e rinnovare; sappiate contemperare - come già dicevamo ai Presuli della Conferenza Laziale - l’antico e il nuovo, l’apostolato della fedeltà e l’apostolato della novità. Come diffusa è ormai l’impressione di essere alle soglie di un’era nuova - tanto profonda è l’evoluzione ogni campo della vita religiosa: dal culto, ove c’è da portare a matura-socio-culturale -, così ben noti, anzi ovvii sono i bisogni nuovi in azione i succhi vitali della riforma liturgica, alla ripresa delle nostre Associazioni; dalle scuole perché restino aperte all’ideale formativo cristiano, alla stampa che si afferma sempre più come organo di elaborazione e di confronto delle idee.

Desideriamo poi studiare insieme il nuovo stile dell’autorità ecclesiastica, perché anche a questo riguardo non tutto è definitivo, perché occorre valorizzare la riscoperta di quella tipica dimensione dell’autorità che è il servizio. Che vuol dire nuovo stile? Vuol dire non solo accentuazione della diaconia verso i nostri figli spirituali, cioè un più amoroso e zelante lavoro per loro, ma anche, in certa misura, con loro, chiamandoli - come suggerisce ripetutamente il Concilio (Cfr. Apostolicam Actuositatem, 2 et passim.) - ad una collaborazione che li renda di fatto, non solo di diritto, elementi vivi ed attivi del Popolo di Dio.

Il pensiero va così necessariamente al suo oggetto, ch’è appunto il Popolo di Dio, verso il quale e col quale il nostro ministero ad un tempo si indirizza e si esplica. Dovremo fare uno sforzo di comprensione di fronte ai cambiamenti intervenuti nella realtà che ci circonda: senza querimonie né sterili rimpianti per un passato ormai irreversibile, meno irto di difficoltà, ma forse idealizzato più di quanto non fosse veramente, dobbiamo renderci conto che in mezzo ai nostri fedeli, per effetto della cosiddetta secolarizzazione e per l’estendersi della fascia della non credenza, sono di tanto cresciuti i pericoli. Son cambiati e stanno cambiando costumi, mentalità, interessi, ecc.; son cambiati alcuni punti di riferimento che fino a pochi anni fa (un decennio circa) sembravano di stabilità inconcussa. Se la trasformazione è dinanzi ai nostri occhi ed è fonte di non lievi preoccupazioni, occorre capire, vigilare, seguire, e perché il vostro ministero non si disperda nella molteplicità dei problemi, vi raccomandiamo vivamente due punti che, tra altri che pur meriterebbero di esser segnalati, sono sempre essenziali.

Anzitutto, l’amore al Clero: che farebbe un Vescovo da solo, privo dell’aiuto dei suoi Sacerdoti? Mancherebbe dell’indispensabile organo di trasmissione per comunicare col suo gregge e portargli la salvezza. Basta questa semplice considerazione, non interessata ed utilitaristica, ma rispondente alla dinamica stessa della cura pastorale, perché ciascuno di voi si convinca ancor più che l’amore verso i «consacerdotes» è un’obbligazione primaria, valevole in ogni circostanza, e da manifestare, ad esempio, nel bisogno, in un momento di dolore o di festa, in riconoscimento di un merito.

Altro interesse saliente, connesso col primo, è la cura per i Seminari, cuore della diocesi (Optatam Totius, 5) e, soprattutto, per il Seminario regionale, ora opportunamente dotato dell’Istituto teologico. Se son positivi i lievi segni di ripresa, bisogna dare incremento all’unione già stabilita tra le diocesi e gli Ordini Religiosi, onde le forze più qualificate e le migliori energie siano destinate al necessario ed oggi più esigente tirocinio di preparazione al presbiterato.

E che diremo dei Laici, del loro apostolato, della loro attività, della loro disponibilità nel prestare aiuto? Un solo accenno: nell’amore che portate al Clero non disgiungete i laici, sappiate valervi del loro contributo, sappiate farveli discepoli e amici, preferite tra loro i poveri, gli ammalati, gli emarginati.

Quali problemi crescenti, o Fratelli! Sono tali e tanti che si ha talvolta la sensazione di non sapere da che parte incominciare. Eppure, nella mole degli impegni, sembra a noi tuttora valido, perché collaudato dalle stesse difficoltà presenti, lo schema del ministero episcopale che vi proponiamo a comune conforto e a ricordo di quest’incontro: a) alimentare, prima di tutto, una vita spirituale propria, seguendo la tradizione ascetica che dalle Lettere pastorali di San Paolo corre ininterrotta fino ai nostri giorni. Citiamo, in proposito, un breve passo della «Regula Pastoralis» di S. Gregorio Magno : «Tantum debet actionem populi actio transcendere Praesulis, quantum distare solet a grege vita pastoris» (S. GREGORII MAGNI Regda Pastoralis, II, 1; cfr. Ibid. 11 circa il meditare «studiose quotidie sacri eloquii praecepta».); b) a questa spiritualità si affianchi - come ci ricorda lo stesso Santo - l’officium praedicationis, cioè l’esercizio della Parola, sobria sì, ma meditata e frequente; c) da ultimo, secondo l’insuperata lezione che il buon Pastore Gesù ci ha impartito per bocca dell’Apostolo prediletto, bisogna avere un forte spirito di sacrificio, che tempri alla fatica e faccia accettare di buon grado le sofferenze, talora acute ed intense, che il sacro ministero comporta: il buon pastore – lo sapete - a differenza del mercenario non solo conosce le sue pecorelle e le chiama per nome, ma all’occorrenza le difende dagli assalti del lupo e non esita a dare per esse la vita (Cfr. Io. 10, 3-15).

La Vergine Lauretana rafforzi i vostri propositi, vi consoli nelle pene, vi infonda gioia e fiducia, vi ottenga quella sapienza e fortezza che sono doni singolari del celeste suo Sposo. Invocatela per voi, per i vostri Sacerdoti e fedeli, affinché la Regione, a lei consacrata, possa avere, oltre ad un sicuro e meritato progresso umano, una rigogliosa fioritura spirituale ad esemplare testimonianza cristiana. Così sia, con la nostra Apostolica Benedizione.

                                   



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