RADIOMESSAGGIO DI SUA SANTITÀ PIO XII
PER CELEBRARE IL NATALE DELL'ANNO SANTO
Sabato, 23 dicembre 1950
I
LA FINE DELL’ANNO SANTO
Un anno è già trascorso, Venerabili Fratelli e diletti figli, dall’ultima vigilia di Natale, da quella giornata memoranda, quando, fra la trepida attesa del mondo cattolico, promulgammo e iniziammo il gran Giubileo, che ha impresso un solco così profondo nella vita della Chiesa e ha superato ogni più felice previsione.
Ci pare ancora di udire, come eco di ieri, i colpi di martello, che aprirono quel santo varco, divenuto approdo spirituale di tutte le genti, e di ascoltare il giubilo con cui i fedeli ne accolsero l’annunzio.
Volò allora da quella sacra soglia l’Angelo del Signore ai quattro angoli della terra, quasi a radunare e convogliare verso la Patria comune dei credenti le innumerevoli schiere dei romei, anelanti di purificarsi nelle acque salutari della penitenza, bramosi di compiere il gran ritorno e di meritare il gran perdono.
Oggi il medesimo Angelo pare che dica, come in un lontano giorno l’Arcangelo Rafael a Tobia: «Benedite sulla terra il Signore e ringraziate Iddio. Ecco, io risalgo a Colui che mi ha inviato. Scrivete tutte le cose che vi sono accadute» (Tob. 12, 20).
La parola fine, che le leggi della presente vita impongono ad ogni cosa più cara e santa e ad ogni evento più lieto e fecondo, sarà segnata anche sulle Porte sante giubilari, lasciando nei cuori un senso al tempo stesso di gioia serena e di rimpianto nostalgico, simile a quello che accompagnava i tre Apostoli nella discesa dal Tabor.
Se è una cosa degna e giusta rendere grazie in ogni tempo e in ogni luogo al Padre datore di ogni bene perfetto, con tanto maggior ardore domani, quando avremo apposto il sigillo sulla Porta santa, si leverà dal Nostro cuore e dalle Nostre labbra l’inno della riconoscenza, al quale si accorderanno con particolare esultanza, in mille accenti diversi, ma pur in un solo sentimento, le voci del mondo cattolico.
Incomparabili meraviglie
Sostando per l’ultima volta sulla soglia calcata dai passi di tanti pellegrini venuti a cercarvi la purificazione e il perdono, si ripresenteranno alla Nostra mente, quasi in un’unica visione, tutte le meraviglie di quest’anno veramente incomparabile, gli splendori magnifici delle grandi funzioni liturgiche, i fulgori invisibili, ma tanto più belli, delle anime rinnovellate e santificate nelle lacrime del pentimento al tribunale della penitenza, nelle lacrime dell’amore ai piedi degli altari.
Rivivranno al Nostro pensiero le solenni Canonizzazioni e Beatificazioni, viva testimonianza di quanto può attuare l’umana natura sorretta dalla grazia divina e di quante opere benefiche è feconda in ogni tempo la Chiesa.
Riudiremo gl’irrefrenabili clamori di giubilo, le devote preghiere, i canti, il cui entusiasmo faceva vibrare le volte della Basilica Vaticana, e questa, incapace di contenere le moltitudini sempre crescenti, si allargava al di fuori, distendendo le grandi braccia del suo colonnato. Rivedremo in spirito le giornate di Pasqua e del Corpus Domini; il vespero della Canonizzazione di S. Maria Goretti; la mattina, luminosa d’insolito arcano splendore, della proclamazione del Dogma dell’Assunzione di Maria. Rivedremo le grandi processioni di penitenza e di propiziazione che onorarono, per le vie di Roma cristiana, le venerande immagini del Crocifisso e della Vergine. Si affolleranno alla Nostra mente i ricordi di tanti Congressi, che hanno avuto come oggetto le scienze sacre o i problemi dell’apostolato; gli echi delle Nostre parole che la voce viva dei popoli, come quella della stampa e della radio, diffondevano nel mondo; i Documenti pontifici indirizzati a tanta varietà di persone in particolar modo la Enciclica «Humani generis » e la Nostra Esortazione al Clero, da cui attendiamo i più abbondanti frutti.
Commoventi ricordi
E passeranno dinanzi al Nostro ricordo con profonda nostalgia le care immagini dei vostri volti. Di voi anzitutto, Venerabili Fratelli nell’Episcopato, che in numero così imponente accorreste a Noi e tanto docilmente ascoltaste la Nostra parola. E poi i vostri volti, diletti figli e figlie. Mai non potremo dimenticare l’espressione dei vostri occhi, anche più dei movimenti delle vostre labbra, che venivano a confidarCi le vostre pene e le vostre intime speranze. Commozione indicibile che inteneriva anche il Nostro cuore, ogniqualvolta siamo scesi in mezzo al caro Nostro popolo cristiano.
Nessuna sollecitudine, nessuna stanchezza è mai valsa a sottrarCi alle vostre brame, a farCi tralasciare i Nostri incontri con voi. Ammettervi alla Nostra presenza, aspettarvi anzi e desiderarvi, era per Noi più un bisogno del cuore che un dovere del Nostro ufficio pastorale. E tutte le volte che Ci dilungavamo a salutarvi, chiamandovi nazione per nazione, diocesi per diocesi, parrocchia per parrocchia, gruppo per gruppo, volevamo come raccogliere tutte le vostre voci, tutte le vostre preghiere, che voi bramavate di far passare per le Nostre mani per presentarle a Gesù.
Come avremmo allora voluto stringervi tutti al Nostro cuore; fare sentire a tutti come Noi rendevamo tenerezza per tenerezza; far penetrare in voi tutti la parola della fiducia e della speranza. A voi specialmente, prediletti di Gesù e Nostri, poveri e malati, che in alcuni giorni formavate l’ornamento più bello della Basilica Vaticana e nei quali vedevamo sempre il più ricco, il più prezioso tesoro della Chiesa.
Ritrovamento della tomba del Principe degli Apostoli
Se però durante l’Anno Santo la Confessione di S. Pietro in Vaticano è stata testimone e centro di così imponenti manifestazioni della unità dei cattolici di tutto il mondo nella fede e nell’amore, la gloria di questo luogo sacro ha avuto anche in un altro aspetto il suo compimento, gli scavi sotto la Confessione medesima, almeno in quanto concernono la tomba dell’Apostolo, (ricerche alle quali Noi volgemmo l’animo fin dai primi mesi del Nostro pontificato), e il loro esame scientifico, sono stati, nel corso di questo Anno giubilare, condotti felicemente a termine. Nel più breve tempo una documentata pubblicazione porterà a conoscenza del pubblico il risultato delle diligentissime esplorazioni.
Questo risultato è stato di somma ricchezza e importanza. Ma la questione essenziale è la seguente: È stata veramente ritrovata la tomba di San Pietro? A tale domanda la conclusione finale dei lavori e degli studi risponde con un chiarissimo Sì. La tomba del Principe degli Apostoli è stata ritrovata.
Una seconda questione, subordinata alla prima, riguarda le reliquie del Santo. Sono state esse rinvenute? Al margine del sepolcro furono trovati resti di ossa umane, dei quali però non è possibile di provare con certezza che appartenessero alla spoglia mortale dell’Apostolo. Ciò lascia tuttavia intatta la realtà storica della tomba. La gigantesca cupola s’inarca esattamente sul sepolcro del primo Vescovo di Roma, del primo Papa; sepolcro in origine umilissimo, ma sul quale la venerazione dei secoli posteriori con meravigliosa successione di opere eresse il massimo tempio della Cristianità.
II
I FRUTTI DELL’ANNO SANTO
Ma ora i milioni di uomini, accorsi dai quattro punti cardinali al centro della cattolicità per prendere parte a questo avvenimento mondiale dell’Anno Santo, per lucrare il giubileo, per ritemprarsi in un bagno di purificazione e di santificazione, per attingere con gaudio, il più vicino possibile alla sorgente, le grazie dalle fonti del Salvatore (cf. Is. 12, 3), si contenteranno forse di far ritorno alle loro patrie come privilegiati fra le centinaia di milioni che non hanno potuto godere di un tale favore? di ridir loro le belle cose di cui sono stati testimoni? di riposarsi, in questi ricordi, dalle tristi e ordinarie realtà per qualche tempo dimenticate? No, essi debbono ora persuadersi della missione che loro spetta, in pari tempo onorifica e piena di responsabilità, di farsi presso i loro fedeli, con le parole e con l’esempio, messaggeri e propagatori dello spirito, onde il loro cuore trabocca.
Come un albero nel giardino del padre di famiglia, l’Anno Santo è splendidamente fiorito, e se i suoi fiori vedono, nel suo declino, i loro petali cospargere il suolo, è per lasciare ora crescere e maturare i frutti. Poiché bisogna che questi crescano e maturino! Il mondo ne ha fame e sete, mentre le sue condizioni di vita, le sue miserie materiali e spirituali, sono ben lungi dal dargli la legittima soddisfazione che attende. Le necessità e le cure quotidiane occupano ed esauriscono tutte le energie di tanti cuori, che non trovano più il tempo, né l’agio, né il gusto di accordare alle cose dell’anima quel minimo che è essenziale dovere di ogni cristiano.
Anche là ove con un assiduo lavoro il clero secolare e regolare, secondato dalla fervida collaborazione dei laici, fa prosperare la vita religiosa, il numero dei cristiani spiritualmente denutriti, illanguiditi o vacillanti nella fede, è ancora tale che la sollecitudine materna della Chiesa non può disinteressarsene.
Strappare questi figli della Chiesa dal loro stato di comoda ma pericolosa letargia, è l’urgente dovere che ora s’impone all’apostolato cattolico.
Ostacoli all’apostolato della Chiesa
Ogni attento osservatore che sa considerare e valutare le circostanze presenti nella loro concreta realtà, rimane necessariamente colpito dalla vista dei gravi ostacoli che si oppongono all’apostolato della Chiesa. Come la colata di lava incandescente che metro per metro scende lungo il pendio del vulcano, così l’onda devastatrice dello spirito del secolo avanza minacciosa e si propaga in tutti i campi della vita, in tutte le classi della società.
Il suo andamento e il suo ritmo, non meno che i suoi effetti, variano secondo i diversi Paesi, da un più o meno consapevole disconoscimento dell’influsso sociale della Chiesa, fino alla sistematica diffidenza, che in alcune forme di governo prende il carattere di aperta ostilità e di vera persecuzione.
Noi abbiamo piena fiducia che i Nostri diletti figli e figlie avranno la chiaroveggenza e il coraggio di affrontare e adempire risolutamente gli obblighi che da una tale condizione di cose derivano. Senza amarezza, ma anche senza debolezza, essi si adopereranno a dissipare coi fatti i pregiudizi e i sospetti di non pochi traviati, accessibili ancora a una serena e oggettiva esposizione; essi faranno loro comprendere che, lungi dall’esservi la minima incompatibilità tra la fedeltà alla Chiesa e la dedizione agl’interessi e al benessere del popolo e dello Stato, i due ordini di doveri, che il vero cristiano deve aver sempre presenti al suo spirito, sono intimamente uniti nella più perfetta armonia.
Con deliberato proposito passiamo in questa occasione sotto silenzio alcune dissonanze, che in tempi recenti si sono manifestate fra cattolici e appartenenti ad altre società religiose e che in parte si sono poco opportunamente infiltrate nel campo delle discussioni politiche. Vogliamo sperare che, al di fuori di tali non meno spiacevoli che nocive polemiche, si troveranno, in tutti i ceti non cattolici, uomini e donne di buona volontà che giustamente in pensiero per i pericoli, da cui è minacciato al presente il sacro retaggio della fede cristiana, nutriranno nel loro cuore altri pensieri che non quelli di fraterna disunione e discordia.
I grandi assenti
Se taluno fosse tentato di perdere di vista questa necessità e questo dovere, che guardi dunque — per quanto sia possibile — ciò che avviene presso alcuni popoli, chiusi quasi da una ferrea muraglia, e osservi in quali condizioni essi sono ridotti nella loro vita spirituale e religiosa.
Egli vedrebbe allora milioni di fratelli e di sorelle cattolici, legati per antiche e sante tradizioni di fedeltà a Cristo e di unione filiale con questa Sede Apostolica; vedrebbe popolazioni i cui fasti eroici per la conservazione e la difesa della fede sono scritti a caratteri indelebili negli annali della Chiesa; li vedrebbe, diciamo, spesso privati dei loro diritti civili e della loro stessa libertà e incolumità personale, e tagliati fuori da ogni viva, sicura e inviolata comunicazione col centro della Cristianità anche per le cose più intime delle loro coscienze, mentre su di loro pesa l’angoscia di sentirsi quasi soli e talvolta di credersi come abbandonati!
Sotto la cupola di Michelangelo, dove risonavano le voci dei pellegrini di tutti i Paesi liberi, osannanti nelle lingue più diverse con le stesse parole di fede, coi medesimi cantici di giubilo, il loro posto era vuoto. Quale vuoto e quanto doloroso al cuore del Padre comune, al cuore di tutti i fedeli uniti in una stessa credenza, in un medesimo amore. Ma essi, i grandi assenti, erano tanto più presenti, quando in quelle folle innumerevoli, coscienti della loro fede cattolica, sembrava battere un sol cuore, vivere una sola anima, che ne faceva la misteriosa, ma efficace unità.
A tutti questi confessori di Cristo, che portano ingiustamente visibili o invisibili catene, che soffrono contumelia per il nome di Gesù (Act. 5, 41), in questa fine dell’Anno Santo, inviamo il Nostro commosso, grato e paterno saluto. Possa esso giungere sino a loro, varcare le mura delle loro prigioni, i fili spinati dei campi di concentramento e di lavoro forzato, laggiù, in quelle lontane regioni impenetrabili agli sguardi della umanità libera, sulle quali un velo di silenzio è disteso, che non varrà però a impedire il giudizio finale di Dio, né il verdetto imparziale della storia.
Nel nome dolcissimo di Gesù Noi li esortiamo a sostenere generosamente le loro sofferenze e le loro umiliazioni, con le quali essi apportano un contributo d’inestimabile valore alla grande crociata di preghiera e di penitenza, che con la estensione dell’Anno Santo a tutto l’orbe cattolico prenderà il suo inizio.
E che le loro e le nostre preghiere abbraccino, in una effusione di carità, secondo l’esempio di Cristo, degli Apostoli e dei veri seguaci del Redentore, anche quelli che oggi si trovano ancora nelle file dei persecutori.
III
LA PACE INTERNA DEI POPOLI
Se ora volgiamo il Nostro sguardo all’avvenire, si presenta come il primo urgente problema la pace interna di ciascun popolo. Purtroppo la lotta per la vita, il pensiero del lavoro e del pane, dividono in campi avversi uomini, che pur abitano la medesima terra e sono figli di una medesima patria. Da una parte e dall’altra, essi hanno la esigenza, in sé legittima, di essere considerati e trattati non come oggetti, ma come soggetti della vita sociale, soprattutto nello Stato e nella economia nazionale.
Perciò molte volte, e con sempre maggior insistenza, Noi abbiamo segnalato la lotta contro la disoccupazione e lo sforzo verso una ben intesa sicurezza sociale come una condizione indispensabile per unire tutti i membri di un popolo, alti e bassi, in un sol corpo.
Ora, oserebbe forse lusingarsi di servire la causa della pace interna colui che oggi vedesse egoisticamente nei gruppi che si oppongono ai suoi propri interessi la fonte di tutte le difficoltà e l’ostacolo al risanamento e al progresso?
Oserebbero lusingarsi di servire la causa della pace interna quelle organizzazioni, che per la tutela degli interessi dei loro membri non ricorressero più alle norme del diritto e del bene comune, ma si appoggiassero sulla forza del numero organizzato e sulla debolezza degli altri, che non sono egualmente organizzati e che tendono sempre a subordinare l’uso della forza alle regole del diritto e del bene comune?
La pace interna quindi i popoli non possono attenderla che da uomini, governanti o governati, capi o seguaci i quali nella tutela dei loro particolari interessi e delle loro proprie opinioni non si ostinano né si rimpiccoliscono nelle loro vedute, ma sanno allargare i loro orizzonti ed elevare le loro mire al bene di tutti. Se in non pochi Paesi si lamenta una deplorevole mancanza di partecipazione delle giovani generazioni alla vita pubblica, la causa non è forse anche che ad esse troppo poco o troppo raramente si è offerto il fulgido e affascinante esempio di uomini come quelli che abbiamo ora descritti?
Sotto la superficie di incontestabili difficoltà politiche ed economiche si nasconde dunque una più grave miseria spirituale e morale: il gran numero di spiriti stretti e di cuori meschini, di egoisti e di « arrivisti », di coloro che corrono col più in auge, che si lasciano muovere — sia illusione o pusillanimità — dallo spettacolo delle grandi masse, dai clamori delle opinioni, dall’ebbrezza dell’eccitazione. Da sé soli essi non muoverebbero un passo, come sarebbe il dovere di cristiani vivi, per avanzare, guidati dallo spirito di Dio, fermamente alla luce dei princìpi eterni, con imperturbabile fiducia nella sua divina Provvidenza. Ecco la vera, la intima miseria dei popoli.
Come la termite nelle case, essa li corrode interiormente e, prima che apparisca al di fuori, li rende impari alla loro missione. Così, accelerati dalla guerra, ma preparati già da lungo tempo, i fondamenti del regime industriale capitalistico hanno subito essenziali mutamenti. Popoli asserviti da secoli si aprono il cammino verso l’indipendenza; altri, fino ad ora privilegiati, si sforzano, per antiche e nuove vie, a conservare la loro condizione. Il sempre più alto e più generale anelito verso la sicurezza sociale non è che l’eco dello stato di una umanità, in cui nei singoli popoli molte cose, che erano o sembravano tradizionalmente solide, son divenute labili e incerte.
Perché dunque questa comunanza d’incertezze e di pericoli, creata dalle circostanze, non genera anche nei singoli popoli una solidarietà fra uomini? Non sono forse, in questo aspetto, le sollecitudini del datore di lavoro anche quelle dei suoi operai? Non è forse in ogni popolo la produzione industriale più che mai legata alla produzione agricola per l’influsso reciproco della loro destinazione? E voi, voi che rimanete insensibili alle angustie del profugo, errante senza un tetto, non dovreste voi sentirvi solidali con lui, la cui misera sorte di oggi potrebbe essere la vostra di domani?
Perché questa solidarietà di quanti si trovano senza tranquillità e nel pericolo non dovrebbe divenire per tutti la via sicura, donde può venire la salvezza? Perché questo spirito di solidarietà non dovrebbe essere come il premio dell’ordine sociale naturale nelle sue tre forme essenziali: famiglia, proprietà, Stato, per ricondurle alla loro organica collaborazione, adattata alle condizioni del presente? Alle condizioni del presente le quali, nonostante tutte le difficoltà, sono però un dono di Dio, per riaffermare il nostro spirito cristiano?
IV
LA PACE
Gli uomini, privi di questo senso cristiano, alcuni delusi del passato, altri fanaticamente protesi verso un idolo del futuro, in ogni caso malcontenti del presente: ecco un grave pericolo per la pace interna dei popoli e in pari tempo per la loro pace esterna.
Non intendiamo qui di alludere all’aggressore che viene dal di fuori, orgoglioso della sua forza, spregiatore di ogni diritto e di ogni carità. Esso trova tuttavia nelle crisi dei popoli, nella loro mancanza di coesione spirituale e morale una validissima arma, e quasi le sue truppe ausiliarie nell’interno stesso del Paese.
Occorre dunque che i popoli non si lascino indurre da motivi di prestigio o da idee antiquate a creare difficoltà politiche ed economiche all’interno rafforzamento di altri popoli disconoscendo o non curando il pericolo a tutti comune.
Occorre che essi comprendano come i loro naturali e più fidi alleati sono là ove il pensiero cristiano, o almeno la fede in Dio, hanno valore anche per gli affari pubblici, e non assumano per unica base un supposto interesse nazionale o politico, trascurando o non tenendo in conto le profonde differenze nella concezione fondamentale del mondo e della vita.
Ciò che Ci detta questi avvertimenti è la vista dell’equivoco e della irresolutezza nel fronte dei sinceri amici della pace, dinanzi a così grave pericolo. E poiché abbiamo a cuore il bene di tutte le Nazioni, stimiamo che la stretta unione di tutti i popoli padroni del loro destino, congiunti da sentimenti di reciproca fiducia e di mutuo aiuto, è il solo mezzo per la difesa della pace o la miglior garanzia per il suo ristabilimento.
Purtroppo però in queste ultime settimane la linea di frattura, che nel mondo esterno divide in opposti schieramenti l’intera comunità internazionale, si è fatta sempre più profonda, mettendo a repentaglio la pace del mondo. Mai la storia umana non ha conosciuto più gigantesca discordia, le cui dimensioni si misurano con la vastità stessa della terra. In un deprecabile contrasto odierno le armi riuscirebbero talmente sterminatrici da renderla quasi « inanis et vacua » (Gen. 1. 2), solitudine e caos, simile al deserto non della sua alba, ma del suo tramonto. Tutte le nazioni vi sarebbero travolte, e il conflitto si ripercuoterebbe e moltiplicherebbe tra gli stessi cittadini di un medesimo Paese, ponendone in estremo pericolo tutte le istituzioni civili e i valori dello spirito, dal momento che il dissidio ormai assomma in sé tutti i più ardui problemi in altri tempi dibattuti separatamente.
L’immane pericolo che sovrasta esige imperiosamente, in ragione della sua gravità, che si faccia tesoro di ogni opportuna circostanza per dar luogo alla saggezza e alla giustizia di trionfare nel segno della concordia e della pace. Se ne approfitti per ravvivare i sensi della bontà e della pietà verso tutti i popoli, i quali sinceramente e unicamente aspirano alla pace e alla tranquillità della vita. Torni a regnare negli organismi internazionali la fiducia scambievole, che presuppone la sincerità delle intenzioni e la lealtà delle discussioni. Si aprano le barriere, si rompano i reticolati, si dia, a ciascun popolo, libero sguardo nella vita di tutti gli altri, si tolga quella segregazione di alcuni Paesi dal resto del mondo civile, così dannosa per la causa della pace.
Sollecitudini della Chiesa per la pace del mondo
Quanto desidererebbe la Chiesa di concorrere a spianare la via a questo contatto fra i popoli! Per lei Oriente e Occidente non rappresentano opposti princìpi, ma partecipano ad un comune retaggio, al quale hanno ambedue potentemente contribuito e sono chiamati a contribuire anche nell’avvenire. In forza della sua divina missione, essa è per tutti i popoli madre, per tutti quelli che cercano la pace, fedele soccorritrice e guida sapiente.
Una somma ingiuria
Eppure — summa iniuria! — da parti ben note Ci si muove l’accusa di volere la guerra e di collaborare a tal fine con Potenze « imperialistiche », che — si afferma — sperano più dalla forza di micidiali strumenti bellici che dall’attuazione del diritto.
Che altro possiamo Noi rispondere a così acerbo oltraggio se non: Scrutate gli agitati dodici anni del Nostro Pontificato, indagate ogni parola sgorgata dalle Nostre labbra, ogni periodo uscito dalla Nostra penna: voi non vi troverete che incitamenti alla pace.
Rammentate specialmente il fatale mese di agosto del 1939, quando, mentre più assillanti si facevano i timori di un sanguinoso conflitto mondiale, dalle rive del lago di Albano elevammo la Nostra voce, scongiurando nel nome di Dio Governanti e popoli di risolvere i loro dissensi con comuni e leali intese. Nulla è perduto con la pace — esclamammo —, tutto può essere perduto con la guerra!
Provatevi a considerare tutto ciò con animo sereno e onesto, e dovrete riconoscere che, se vi è ancora in questo mondo, straziato da contrastanti interessi, un sicuro porto, ove la colomba della pace, possa posare tranquillamente il suo piede, esso è qui, in questo territorio consacrato dal sangue dell’Apostolo e dei martiri, ove il Vicario di Cristo non conosce dovere più santo né più grata missione che di essere instancabile propugnatore di pace.
Così abbiamo fatto in passato. Così faremo in futuro, finché al divino Fondatore della Chiesa piacerà di lasciare sulle Nostre deboli spalle la dignità e il peso di supremo Pastore.
Invito alla preghiera
Lunga, scabrosa, ingombra di pruni e di spine è la via che conduce alla vera pace. Però la grande maggioranza degli uomini è volentieri pronta a sopportare tutti i sacrifici, pur di rimanere preservata dalla catastrofe di una nuova guerra. Tuttavia così grande è tale impresa e così deboli i mezzi puramente naturali, che i nostri sguardi si volgono in alto e le nostre mani si elevano supplicanti verso la maestà di Colui, che dallo splendore della divinità si è abbassato fino a noi ed è divenuto come « uno di noi ».
La potenza del Signore, che volge i cuori dei governanti dovunque gli piace, come rivi d’acqua di cui regola il corso (cf. Prov. 21, 1), può frenare la tempesta, che scuote la barca, ove si trovano sgomenti non soltanto i compagni di Pietro, ma l’intiera umanità. Tuttavia per i figli della Chiesa è un sacro dovere implorare con le loro preghiere e coi loro sacrifici che il Signore del mondo, Gesù Cristo, Dio benedetto nei secoli (Rom. 9, 5), comandi ai venti e al mare, e al tormentato genere umano conceda la « tranquillitas magna » (Matth. 8. 26) della vera pace.
Con questi sentimenti impartiamo di cuore a voi, diletti figli e figlie, e a quanti nel vasto mondo ascoltano la Nostra voce, l’Apostolica Benedizione.
*Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, XII,
Dodicesimo anno di Pontificato, 2 marzo 1950 - 1° marzo 1951, pp. 377 - 388
Tipografia Poliglotta Vaticana
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