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PAKISTAN, FILIPPINE I, GUAM (STATI UNITI II),
GIAPPONE, ANCHORAGE (STATI UNITI II)
(16-27 febbraio 1981)

DISCORSO DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II 
AL CORPO DIPLOMATICO*

Martedì, 18 febbraio 1981

 

Eccellenze, Signore, Signori

1. Sono venuto in questa parte del mondo per incontrare le comunità cattoliche delle Filippine e del Giappone, e per porgere alle due nazioni l’espressione della profonda stima che la Chiesa nutre per esse. Al tempo stesso mi è molto gradito avere l’occasione di essere con voi questa sera, giacché, come diplomatici accreditati presso il Governo di questo Paese, voi rappresentate i popoli non solo dell’Asia ma di tutto il mondo. In seguito, secondo il mio programma, mi rivolgerò direttamente a tutti i popoli dell’Asia; ma non posso lasciar cadere la presente occasione senza esprimere qui, dinanzi a voi, la gioia che provo nel salutare, nelle vostre persone, le popolazioni e i governi delle vostre nazioni, molte delle quali mantengono cordialissimi rapporti con la Santa Sede. Desidero ribadire la profonda stima che la Chiesa cattolica nutre per le nobili tradizioni culturali e religiose di tutti i popoli, e riaffermare il suo desiderio di essere al servizio di tutti nella comune ricerca della pace, della giustizia e del progresso umano. 

2. La Chiesa non ha ambizioni politiche. Quando essa offre il suo specifico contributo ai grandi e sempre attuali problemi dell’umanità – pace, giustizia, sviluppo ed ogni meritevole sforzo diretto a promuovere e difendere la dignità umana – essa lo fa perché è convinta che ciò rientra nella propria missione. Missione che è legata alla salvezza dell’uomo: l’essere umano nella sua totalità, la persona individuale che attua la sua vocazione eterna nella storia temporale, all’interno di un complesso di comunità e di società. Quando rivolge la propria attenzione alle necessità ed alle aspirazioni degli individui e dei popoli, la Chiesa segue il comando del suo Fondatore, mettendo in pratica la sollecitudine di Cristo per ogni singola persona, specialmente per i poveri e per i sofferenti. Il suo specifico contributo all’umanizzazione della società e del mondo deriva da Gesù Cristo e dal suo Vangelo. Mediante il suo insegnamento sociale, la Chiesa non presenta modelli prefabbricati, né si allinea con comportamenti alla moda e passeggeri. 

Invece, riferendosi a Cristo, essa tende alla trasformazione dei cuori e delle menti sì che l’uomo possa vedere se stesso nella piena verità della propria umanità. 

3. L’azione della Chiesa, quindi, non è politica, né economica, né tecnica. La Chiesa non ha competenza nei settori della tecnologia o della scienza, non si afferma con il potere politico. La sua competenza, al pari della sua missione, è per sua natura religiosa e morale, ed essa deve rimanere nel suo proprio settore di competenza, se non vuole che la sua azione sia inefficace o irresponsabile. È consuetudine della Chiesa, perciò, rispettare l’area specifica di responsabilità dello Stato, senza interferire in ciò che spetta ai politici e senza partecipare direttamente alla condotta degli affari temporali. Al tempo stesso la Chiesa incoraggia i suoi membri ad assumere le loro piene responsabilità come cittadini di una data nazione e a cercare, insieme con gli altri, le vie e i modelli che meglio valgono a promuovere il progresso della società. Essa considera come suo contributo specifico il rafforzamento delle basi spirituali e morali della società, e per rendere un servizio all’umanità assiste la gente nel formare rettamente la propria coscienza. 

4. Alla luce di queste considerazioni desidero che il mio viaggio attraverso l’Asia possa costituire una chiamata alla pace ed al progresso dell’uomo, un incoraggiamento per quanti sono impegnati nel proteggere e nel promuovere la dignità di ogni essere umano. Spero pure che il mio incontro con voi, questa sera, rafforzerà il vostro senso di missione al servizio dei vostri Paesi e dell’intera famiglia umana. Non è forse missione del diplomatico essere un costruttore di ponti fra le nazioni, essere uno specialista nel dialogo e nella comprensione, essere un difensore della dignità dell’uomo per promuovere il bene comune di tutti? 

Oltre che perseguire i legittimi interessi della vostra nazione, la vostra missione vi orienta in modo speciale verso i più vasti interessi dell’intera famiglia umana, specialmente nel continente asiatico. Ispirati come siete dai più nobili ideali di fraternità, voi – ne sono certo – vorrete condividere il mio interessamento per la pace e per il progresso in questa area, comprendendo la necessità di affrontare le cause più profonde dei problemi che affliggono nazioni e popoli. Nella mia recente enciclica sulla Divina misericordia ho indicato ciò che ritengo essere “le fonti di inquietudine”. Ho parlato del timore connesso con la prospettiva di un conflitto che – attesi gli arsenali di armi atomiche – potrebbe significare la parziale autodistruzione dell’umanità. Ho attirato l’attenzione su quello che gli esseri umani potrebbero fare agli altri uomini servendosi dei mezzi messi a disposizione da una tecnologia militare sempre più sofisticata. Ma ho attirato l’attenzione anche su altri elementi, scrivendo: “L’uomo ha giustamente paura di restar vittima di un’oppressione che lo privi della libertà interiore, della possibilità di esternare la verità di cui è convinto, della fede che professa, della facoltà di obbedire alla voce della coscienza che gli indica la retta via da seguire. I mezzi tecnici a disposizione della civiltà odierna celano, infatti, non soltanto la possibilità di un’autodistruzione per via di un conflitto militare, ma anche la possibilità di un soggiogamento “pacifico” degli individui, degli àmbiti di vita, di società intere e di nazioni, che per qualsiasi motivo possono riuscire scomodi per coloro i quali dispongono dei relativi mezzi e sono pronti a servirsene senza scrupolo” (Giovanni Paolo II, Dives in Misericordia, 11). 

Ho pure menzionato il tragico problema di quanti soffrono per la fame, per la cattiva nutrizione e per il crescente stato di disuguaglianza tra individui e nazioni, perché “accanto a coloro che sono agiati e vivono nell’abbondanza, esistono quelli che vivono nell’indigenza, soffrono la miseria e spesso addirittura muoiono di fame” (Giovanni Paolo II, Dives in Misericordia, 11). 

5. Ma nello stesso documento ho anche dichiarato (e vorrei lasciare questo pensiero alla vostra riflessione): “L’esperienza del passato e del nostro tempo dimostra che la giustizia da sola non basta e che, anzi, può condurre alla negazione e all’annientamento di se stessa, se non si consente a quella forza più profonda che è l’amore, di plasmare la vita umana nelle sue varie dimensioni” (Giovanni Paolo II, Dives in Misericordia, 12). 

Sì, cari amici, il mio messaggio di questa sera a voi riguarda proprio il potere dell’amore. Un amore profondamente sentito ed effettivamente manifestato in azioni concrete, individuali e collettivo, è una forza motrice che spinge l’uomo ad essere vero con se stesso. Solo l’amore può rendere l’uomo realmente disponibile all’appello del bisogno. E la medesima forza, l’amore fraterno, possa spingervi alle vette sempre più alte del servizio e della solidarietà. 

Signore e Signori, nell’alta missione diplomatica qual è la vostra, siate certi del mio appoggio totale. 


*Insegnamenti IV, 1 pp. 388-391.

 

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